di Nicola Palma
MILANO
Il modello di borsa PO312YKY si trova nei negozi Dior a 2.600 euro. Alla casa di moda costava appena 53 euro. Forse basta solo questa gigantesca sproporzione tra il prezzo di vendita e quello di produzione a spiegare perché ieri la srl Manufactures Dior, che produce articoli da viaggio e pelletteria di lusso per conto della casa madre Christian Dior Italia srl e che fa capo direttamente alla multinazionale Lvmh Moet Hennessy Louis Vuitton di Bernald Arnault, è stata commissariata dal Tribunale di Milano: per un anno, l’amministratore giudiziario Giuseppe Farchione dovrà monitorare l’intera filiera produttiva e passare al setaccio i contratti di fornitura.
Un provvedimento che ricalca quelli già adottati nei mesi scorsi nei confronti di Alviero Martini e Armani. E del resto lo schema è lo stesso, almeno secondo le indagini dei carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro coordinati dai pm Luisa Baima Bollone e Paolo Storari: il braccio operativo di Dior Italia avrebbe affidato la produzione a società committenti, con completa esternalizzazione dei processi produttivi; le aziende appaltatrici, disponendo solo nominalmente dell’adeguata capacità produttiva, avrebbero a loro volta "passato" il lavoro a opifici cinesi, "riuscendo ad abbattere i costi grazie all’impiego di manodopera irregolare e clandestina". Il 21 marzo scorso, i militari guidati dal tenente colonnello Loris Baldassarre entrano nella sede della Pelletterie Elisabetta Yang srl di Opera: l’amministratrice è una quarantottenne cinese, ma sono il marito connazionale e la figlia a occuparsi di tutto. In quel momento, nel capannone ci sono 23 lavoratori stranieri, di cui 5 in nero.
L’area produttiva è organizzata in due ambienti: da un lato ci sono macchine da cucire, punzonatrici e mini incollatrici; dall’altro, macchine taglia pelle, incollatrici a caldo e fustellatrici. Assenti (o meglio, rimossi) i dispositivi di sicurezza, "che hanno lo scopo – annotano i giudici – di impedire che il lavoratore possa entrare in contatto con i meccanismi mossi elettricamente". Al piano di sopra ci dovrebbe essere un magazzino, ma gli investigatori ci trovano una cucina, sette stanze da letto, un refettorio e due bagni, "le cui condizioni igieniche rasentano il minimo etico". Lì prendono forma borse e accessori griffati Dior, benché tra la ditta e la committente non ci sia neppure un contratto d’appalto, ma solo un documento di "condizioni generali di acquisto". Di più: l’analisi sulle curve di carico elettriche attestano che nel capannone si lavora dalle 6.30 alle 21.30, senza distinzioni tra feriali e festivi; i consumi non sono mai scesi sotto la media dei 2 kilowatt/ora neppure a Pasqua.
Uno scenario che porterà i militari a indagare la coppia di gestori per caporalato. Stesso discorso vale per la New Leather Italy srls: quando i carabinieri entrano nel laboratorio, in tre scappano, scavalcando il muro di recinzione. Perché? Due di loro sono in nero. Tra gli identificati c’è pure l’amministratrice della "Davide Albertario Milano srl", in teoria la società a cui Dior ha delegato parte della produzione; l’imprenditrice ammette però di aver esternalizzato parte delle lavorazioni per "ridurre i tempi di evasione dell’ordine". Per il Tribunale, il sistema "è stato colposamente alimentato dalla Manufactures Dior, che non ha verificato la reale capacità imprenditoriale delle società appaltatrici, alle quali affidare la produzione, e non ha nel corso degli anni eseguito efficaci ispezioni o audit per appurare in concreto le effettive condizioni lavorative e gli ambienti di lavoro".