Lunedì 14 Ottobre 2024
ANTONELLA COPPARI
Cronaca

L’Europa si piega a Orbán. Denaro al posto dei diritti

I leader dei 27 trovano l’intesa sui fondi Ue. Decisiva la mediazione della Merkel. Ungheria e Polonia avranno i soldi senza abolire, per ora, le leggi liberticide

Viktor Orban, Ursula von der Leyen e Giuseppe Conte (Ansa)

Viktor Orban, Ursula von der Leyen e Giuseppe Conte (Ansa)

Semaforo verde. L’Europa trova l’accordo e sblocca il Next Generation Eu, il piano da 1.800 miliardi di euro. Alle sette di sera il presidente del consiglio europeo, Michel, annuncia: "Ora possiamo cominciare a ricostruire le nostre economie". Ma il prezzo è salato. Anche se nessuno lo ammetterebbe mai apertamente, Orbán l’ha spuntata e con lui il polacco Morawiecki. La scelta di tenere in ostaggio il Recovery plan per bloccare la norma sullo stato di diritto ha funzionato: la clausola che nega l’erogazione dei fondi agli Stati che non rispettano le regole democratiche verrà messa nel freezer almeno per un anno. Il compromesso (contenuto in una dichiarazione interpretativa allegata all’intesa) prevede che la Commissione Ue si impegni a non avviare procedure sanzionatorie fino a quando la Corte di giustizia europea non si sarà pronunciata sulla legittimità dell’operazione. Per procedere, la Commissione dovrà presentare linee guida in cui chiarisce come intende muoversi, la sanzione proposta dovrà essere proporzionata, servirà un confronto con lo Stato interessato. Non solo: il meccanismo potrà essere applicato a partire da gennaio 2021. Insomma, tra l’ esenzione dei bilanci precedenti e le tempistiche necessarie a elevare le sanzioni per quello attuale Budapest e Varsavia non avranno problemi prima del 2022.

Probabilmente non si poteva fare altro. L’ipotesi di passare dal Recovery a 27 Paesi a uno a 25 non sarebbe stata impraticabile, ma avrebbe comportato la modifica dell’intera struttura del piano. Troppo lungo per una Europa martellata dalla crisi, che ha bisogno di correre. Il boccone amaro è amaro ma a Bruxelles festeggiano lo stesso. Dopo settimane di paralisi è necessario premere l’acceleratore: ne è convinta Ursula von der Leyen, e ancora più convinta la Merkel, madrina della mediazione. L’obiettivo è ambizioso: ottenere l’approvazione di parlamenti nazionali entro due mesi.

Nessun brindisi invece sul fronte della Brexit, eterno tormento. Ora i tempi stanno per scadere, il 31 dicembre è a un passo e senza uno scatto, di cui non si vede l’ombra né a Bruxelles né a Londra entrambe le parti in causa si troveranno tra meno di un mese nella situazione più temuta. Quella del no deal.

L’accelerazione europea sul Recovery è destinata a incidere sulla situazione italiana. Conte torna da Bruxelles più forte di come era partito: il piano Next Generation Eu è legato al suo nome. Sostituirlo in corsa sarebbe quasi impossibile. Ma dovrà rinunciare alla sua tattica preferita: quella del rinvio. L’Italia non può farsi trovare con il fianco scoperto, sull’orlo di una crisi di governo con il Recovery plan in alto mare quando i parlamenti dei paesi frugali dovranno votare. Affondare la lama diventerebbe facile. Per il momento Conte ha evitato di trattare perché è convinto che il nodo non sia nel merito ma riguardi i rapporti di potere nella maggioranza. Ora scendere a più miti consigli, cercando di capire cosa vogliono davvero Renzi, Zingaretti e Di Maio. Ma stavolta dovrà farlo in tempi fulminei.