Si potevano evitare tutti quei morti falciati dal Covid in Valle Seriana? Si poteva fare a meno dell’Esercito chiamato ad evacuare con i suoi camion gli obitori della Bergamasca? Si poteva perlomeno frenare una vera e propria strage che ha lasciato sul campo migliaia di vittime? Sono i punti cardine dell’inchiesta della procura di Bergamo sulla gestione della pandemia in Lombardia che vede tra gli indagati l’ex premier Giuseppe Conte, l’ex ministro della Salute Roberto Speranza e il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, da poco riconfermato. Antonio Chiappani è il procuratore che ha lavorato per tre anni a questa inchiesta: "La nostra scelta finale è stata quella di dire – di fronte alle criticità, a queste, secondo noi, insufficienze nelle valutazioni del rischio pandemico, e di fronte alle migliaia di morti e alle consulenze che ci dicono che questi potevano essere anche eventualmente evitati – che noi non potevamo chiudere con un’archiviazione". Chiappani non entra nel dettaglio ma sottolinea il "grande impegno profuso per dare ai cittadini di Bergamo una ricostruzione di quanto accaduto", parla di "tre anni di severo lavoro", di migliaia di messaggi e mail acquisite, di centinaia di persone sentite, di consulenze durate oltre un anno. Il tutto per cercare di ricostruire "una grande e drammatica esperienza" al fine di "dare risposta a tutti i nostri morti".
Chi doveva quindi intervenire? Stando alle carte l’ex premier Giuseppe Conte, con i componenti del Cts, nelle riunioni del 29 febbraio e del 1 marzo 2020 si sarebbe limitato a proporre misure meramente integrative, senza prospettare di estendere la zona rossa ai comuni della Valle Seriana, tra cui Alzano Lombardo e Nembro, stravolte dalla prima ondata Covid, nonostante l’ulteriore incremento del contagio (come è emerso dalla relazione tecnica del consulente della procura, Andrea Crisanti) e "l’accertamento delle condizioni che corrispondevano allo scenario più catastrofico".
Il governatore Attilio Fontana, appena rieletto, in particolare avrebbe chiesto al presidente del Consiglio dei ministri "il sostanziale mantenimento delle misure di contenimento già vigenti" sul territorio, "non segnalando alcuna criticità relativa alla diffusione del contagio nei comuni della Val Seriana, e dunque non richiedendo ulteriori e più stringenti misure di contenimento". Passaggi che si leggono nell’avviso di conclusione dell’inchiesta in cui lo stesso Fontana, così come Conte e Speranza, rispondono di epidemia colposa e omicidio colposo con 87 parti offese che hanno perso un loro caro ucciso dal virus in quei terribili giorni. Altre ipotesi, ma per altri indagati, sono quelle di rifiuto di atti d’ufficio, lesioni e falso.
In particolare Fontana, in due mail del 27 e 28 febbraio 2020, non avrebbe comunicato il reale scenario e non chiese misure più restrittive, indicano i pm, nonostante "avesse piena consapevolezza della circostanza che l’indicatore “R0“ avesse raggiunto valori pari a 2 (in pratica, il virus era fuori controllo, ndr), e che nelle zone ad alta incidenza del contagio gli ospedali erano già in grave difficoltà per il numero dei casi e per il numero dei contagi tra il personale". L’accusa, per Fontana ma anche per Conte, è di non avere disposto la zona rossa in Val Seriana, quando avevano gli strumenti per farlo, causando così, secondo l’ipotesi degli inquirenti, il contagio stimato di almeno 4.148 persone, "pari al numero dei decessi in meno che si sarebbero verificati in Provincia di Bergamo" se le restrizioni si fossero applicate dal 27 febbraio. Di quel totale, 55 vittime furono ad Alzano e 108 a Nembro.
Lo stesso fronte coinvolge anche i membri del Cts: dal presidente dell’Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro al presidente del Consiglio superiore di Sanità, il bergamasco Franco Locatelli.