Sabato 4 Maggio 2024

La madre di Saman al figlio pentito: "Io e papà siamo morti quel giorno"

Così la donna scriveva su WhatsApp al fratello della vittima. "Ricordati cosa aveva fatto tua sorella". Il ragazzo si sentiva colpevole: aveva mostrato ai genitori le foto della giovane che baciava il fidanzato

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di Daniele Petrone

"Pensa ai comportamenti di tua sorella...". Così Nazia Shaheen giustificava col figlio minorenne il presunto omicidio di Saman Abbas, la 18enne pachistana scomparsa la notte del 30 aprile 2021 da Novellara, nella bassa reggiana. La conversazione su WhatsApp, che risale all’agosto 2021, è nel maxi fascicolo della procura di Reggio Emilia. Per la prima volta emergono anche le parole della madre, latitante in Pakistan assieme al marito Shabbar. La chat andrebbe a confermare il movente del ’delitto d’onore’ compiuto perché la giovane non voleva vivere secondo i dettami tradizionali, opponendosi a un matrimonio combinato in patria con un cugino più grande di lei di dieci anni e fidanzandosi con Saqib, il ragazzo che amava, ma inviso alla famiglia.

Il ragazzino – tuttora protetto in una comunità e testimone chiave dell’accusa che durante l’incidente probatorio aveva indicato lo zio Danish Hasnain come l’esecutore materiale dell’omicidio – parla con la madre di altre due persone, non indagate, che secondo lui avrebbero istigato il padre nell’organizzazione dell’omicidio della sorella. Li ritiene responsabili moralmente per la morte di Saman, ma Nazia cerca di calmarlo: "Lasciali stare. Tu non sai di lei? Davanti a te a casa... noi siamo morti sul posto, per questo tuo padre è a letto e anche la madre (parla di sé in terza persona, ndr) a letto". E ancora: "Tu sei a conoscenza di tutto – dice Nazia al figlio –. Pensa a tutte le cose, i messaggi che ci facevi ascoltare la mattina presto, pensa a quei messaggi, pensa e poi dì se i tuoi genitori sono sbagliati...". E il figlio risponde: "Ora mi sto pentendo, perché ho detto...", alludendo a quanto rivelato ai carabinieri. Una frase, questa, che evidenzia come sia debole di fronte a quanto accaduto. Lui stesso mostrò la foto pubblicata sui social da Saman che la ritraeva assieme a Saqib per le vie di Bologna mentre si baciavano. Un post che avrebbe scatenato l’ira dei genitori. Ma allo stesso tempo – sempre stando a quanto emerge dal faldone d’inchiesta – il fratello aiutava Saman. Ad esempio concedendole di sfruttare la sua connessione dati per chattare col fidanzato. Rivelazioni che si aggiungono a quelle emerse nei giorni scorsi. Prima la telefonata del padre Shabbar al fratellastro, al quale ammetteva: "L’ho uccisa io. L’abbiamo uccisa noi. Per la mia dignità. Per il mio onore...". Poi la confessione del cugino Ikram Ijaz a un compagno di cella in carcere a Reggio Emilia: "Io e mio cugino la tenevamo ferma mentre Danish l’ha strangolata con una corda". Poi con l’aiuto di una sesta persona, un uomo misterioso mai identificato, "abbiamo caricato il corpo su una bicicletta, fatto a pezzi e gettato nel fiume Po".

Il cadavere di Saman non è mai stato ritrovato nonostante le ricerche con cani specializzati e mezzi tecnologici d’avanguardia. Il 10 febbraio 2023 inizierà il processo in tribunale a Reggio Emilia. Cinque gli imputati per l’omicidio premeditato contestato dal sostituto procuratore Laura Galli: lo zio Danish, i cugini Ikram e Nomanhulaq Nomanhulaq (tutti arrestati tra Francia e Spagna, dove erano fuggiti, e ora detenuti in carcere) oltre ai genitori ancora ricercati nel Paese d’origine. E dove vivrebbero – stando a quanto hanno raccontato alcuni connazionali – protetti dalla loro comunità nel villaggio di Mandi Bahuaddin. Qui gli Abbas sono potenti e possono contare su una rete di parenti poliziotti. Il padre Shabbar avrebbe simulato la morte, ottenendo documenti fittizi per girare indisturbato ai controlli.