Sabato 27 Aprile 2024

Il superstite della Thyssen "A Brandizzo si riapre una ferita I controlli? Solo sulla carta"

Antonio Boccuzzi è l’unico che si salvò nel 2007 dall’incendio che uccise altri sette operai "Quante analogie con quella tragedia, c’è troppa impunità intorno agli incidenti sul lavoro"

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Roma, 31 agosto 2023 – “È una ferita che si riapre, anche se non si è mai rimarginata. Sono fratelli che perdono la vita nel modo più incredibile possibile: lavorando, cercando di realizzare qualcosa per loro e per le loro famiglie. E, invece, tutto quello che speravano di costruire rimane in quel posto, su quei binari, dove sono stati travolti". È scosso Antonio Boccuzzi, l’unico superstite di una delle più drammatiche e gravi tragedie sul lavoro del Dopoguerra, quella della ThyssenKrupp di Torino nella quale, nella notte del 6 dicembre 2007, morirono sette suoi compagni di lavoro. Negli anni successivi è stato deputato Pd, facendo diventare la sicurezza sul lavoro la sua missione.

Brandizzo come la Thyssen: è stato il pensiero di tutti. Lei c’era quella notte.

"Le analogie ci sono tutte, perché è una tragedia che coinvolge molti lavoratori, perché accade ancora una volta nel profondo Torinese e nel profondo Nord, che paga un nuovo enorme tributo di sangue".

È come tornare indietro nel tempo a quel terribile sei dicembre in fabbrica?

"Assolutamente. I lavoratori superano le barriere della non conoscenza personale. Quando accadono queste tragedie è forte il sentimento di fratellanza. L’abbiamo sentito nella manifestazione che ci fu immediatamente dopo la Thyssen con tutti i lavoratori che erano in quella piazza. C’era un grido forte che univa i lavoratori e io oggi mi sento fratello di chi è mancato e anche dei familiari che staranno vivendo un dolore pazzesco".

A distanza di sedici anni dalla Thyssen, per lei che è stato anche in Parlamento come «missionario» della sicurezza sul lavoro questa nuova tragedia che significato ha? Siamo ancora indietro nella tutela delle condizioni in cui operano i lavoratori?

"È evidente che c’è ancora molto da fare perché, invece di arrestarsi, le morti sul lavoro e gli incidenti sono continuati in maniera significativa. Quello che fu quasi uno slogan, “Mai più Thyssen“, è stato un impegno non rispettato, perché di Thyssen ce ne sono state molte, l’ultima stanotte. Certo, saranno da accertare le cause, ma leggo che un convoglio vuoto che doveva rientrare in deposito è passato a 160 chilometri orari. Allora mi chiedo se la persona che stava guidando era da sola, se ha avuto un malore. Per iniziare. E mi vengono mille altre domande".

Eppure, nel 2008 fu approvata una normativa stringente proprio sulla scorta del caso Thyssen.

"A detta di molti abbiamo la migliore normativa sulla sicurezza, il decreto 81, che fu varato subito dopo quella tragedia. Ma è evidente che non ha funzionato come doveva. Servirebbe fare subito un tagliando a quella legge. Senza contare che sono passati quindici anni da allora, ma più di un decreto attuativo non è stato neppure varato. C’è sicuramente ancora molto da fare. Anche perché le regole da sole non bastano".

Che cosa serve?

"Non è solo una legge che può evitare queste tragedie. C’è bisogno di mezzi e personale per fare controlli sostanziali nelle aziende e sui cantieri. Mi domando quali controlli ci siano stati in quel cantiere. Ma c’è bisogno soprattutto di prevenzione per evitare gli incidenti. Dopo è troppo tardi, dopo ci sono le lacrime, c’è il dolore. C’è la rabbia. Ma la politica ha il dovere di arrivare prima e di andare a recuperare dove ci sono falle, perché è evidente che ci sono".

Controlli e prevenzione sostanziali, non solo sulle carte.

"Assolutamente. Si deve andare a vedere l’applicazione delle leggi, lo stato delle macchine, dei dispositivi di sicurezza. Non solo sicurezza da un punto di vista burocratico, ma sicurezza vera reale. I documenti a posto non bastano. Diventa facile essere molto bravi mettendo una firma su un pezzo di carta. Si deve andare oltre le formalità e cambiare cultura nelle aziende: mettere il lavoratore al centro della sicurezza".

La Thyssen ha insegnato poco?

"La tragedia Thyssen avrebbe potuto avere un ruolo molto rilevante. Anche la sentenza avrebbe potuto avere una funzione significativa. Quando vieni punito perché non hai fatto rispettare le leggi sul lavoro, si crea un effetto di deterrenza diffuso. L’impunità che c’è intorno agli incidenti sul lavoro, invece, spinge gli imprenditori non virtuosi ad agire con leggerezza".

L’impunità da cosa deriva?

"Basti pensare che la sentenza Thyssen è rimasta sulla carta. Quella sentenza in cui l’amministratore delegato è stato condannato a dieci anni si è tradotta, a distanza di sette anni dalla pronuncia definitiva, in ben poco. Solo poche settimane fa l’ultimo dei condannati, l’ad, ha finalmente varcato le porte del carcere, sia pur solo per dormire. Dunque, si comprende come il senso di impunità dia forza agli imprenditori poco virtuosi".