Lunedì 6 Maggio 2024

Il piacere di farsi selfie brutti. I ragazzi cambiano punto di vista

Foto storte, sfocate e mosse: le nuove generazioni non cercano più la bellezza (finta) da social. Lo sguardo ironico e vicino alla realtà del grandangolo. E anche dive e top model si mostrano imperfette

Braccio allungato all’inverosimile e distorto: una ragazza e gli amici in un '0.5 selfie'

Braccio allungato all’inverosimile e distorto: una ragazza e gli amici in un '0.5 selfie'

Roma, 26 giugno 2022 - "Se un secolo fa Nora sbatteva la porta di Casa di bambola nel dramma di Ibsen, liberandosi di una certa idea di donna, oggi non abbiamo più porte da sbattere. Il mito della bellezza – scrive la filosofa Maura Gancitano nel suo nuovo saggio Specchio delle mie brame – è molto più pervasivo e capzioso, e la bellezza rischia di svuotare le donne psicologicamente e distruggerle fisicamente". La prigione della bellezza è un certo modo di vestire, di mangiare, o anche di apparire nelle videocall o di mettersi in posa nei selfie: non si tratta di una questione puramente estetica – spiega la Gancitano – ma del prodotto di un esercizio di potere, di una tecnologia politica regolata dalle leggi del consumo, e dall’atavico ruolo subalterno che la donna deve continuare ad avere all’interno della società.

Ma c’è un ma. Per tante giovani vittime – anche a causa dell’abuso delle videoimmagini – di disturbo da dismorfismo corporeo, del rifiuto della propria fisicità dovuto alla percezione di difetti inesistenti, ecco che spuntano le Nora 2022. Ragazze della Generazione Z che si sa, cento ne pensano in quanto a priorità sociali (difesa del pianeta, cura dell’inclusione, diritto all’autodeterminazione, rispetto della diversità, dal linguaggio ai contenuti), e mille ne fanno. Come ad esempio la nuova moda – intercettata dal New York Times – di farsi selfie "brutti". Detta così è detta un tanto al chilo, però il dato di cronaca è che Instagram ha preso a popolarsi di autoscatti di fanciulle (e fanciulli) il cui canone non è più lo stereotipo della "bellezza-perfetta-da-social" (posa studiata nel riflesso dello schermo, viso di tre quarti, occhioni spalancati, labbra a cuore, corpo scolpito, abiti e sfondi impeccabili) ma l’apparire come si è, disordinati, in presa diretta, un po’ a casaccio. E se persino lievemente – giocosamente – deformati in peggio, è anche meglio. Quasi un moderno ritorno all’antico, insomma: per Roland Barthes era solo la fotografia analogica quella innamorata della realtà.

Ora tutto nasce dall’uso di un nuovo punto di vista: il grandangolo. I selfie in questione vengono definiti "0.5 selfie", perché sull’iPhone la funzione per ottenerli si chiama 0.5x. La telecamera grandangolare si trova sul retro del telefonino. Gli ultimi smartphone ne sono stati dotati ai fini di scattare foto più belle dei paesaggi: gli obiettivi grandangolari e ultra grandangolari, con il loro campo visivo più ampio, sono nati a metà Ottocento per questo, per catturare non primi piani ma più scene, grandi architetture, grandi scenari naturali. Adesso si usano per gli autoritratti digitali: chi li fa, scatta con non poca difficoltà, deve allungare le braccia il più possibile, non vede in anticipo la foto quale aspetto di se stesso svelerà al mondo, con tanto di rischio distorsione praticamente implicito nella modalità. "Non sai davvero come andrà a finire, quindi devi solo sperare che venga fuori qualcosa di buono", ha detto Callie Booth, 19 anni, al New York Times, definendo un buon 0.5 selfie l’antitesi di un buon selfie vecchio stile.

Già da tempo supermodelle come Delevingne o Hadid hanno deciso di mostrarsi su Instagram in selfie sfocati, mossi, imperfetti, fors’anche sulla scia di tutte quelle dive che nel post Covid si sono ritrovate a sfilare sui tappeti rossi con la ricrescita in vista o le rughe non più spiaccicate dal botox, fino all’ultimo exploit “pro-verità“ della pur privilegiata (è bellissima comunque) Julia Roberts. Gli stereotipi della bellezza social sono una prigione? La grande fuga, forse, è cominciata.