Giovedì 18 Aprile 2024

"I genitori, i prof, mia moglie" Ecco il pantheon intimo di Draghi

Il premier in un incontro con gli studenti di una scuola del Veronese traccia un inedito autoritratto personale

Migration

di Davide

Rondoni

Da un tipo come Mario Draghi non ci si poteva certo aspettare, alla domanda "Presidente, qual è il suo idolo?" una risposta tipo, che so, Sivori o Pelé i gran calciatori o il motociclista Agostini o Domenico Modugno o, per stare più vicini, Rivera o Mazzola, o Renato Zero. No, non sembra il tipo. Ma non si è sottratto alla domanda dei ragazzi. E ha risposto, con aplomb istituzionale, ma anche con un tratto personale sincero: i genitori, gli insegnanti, mia moglie. I genitori, perduti da ragazzino, gli insegnanti di scuola e delle università italiane e americane, e infine lei, la moglie che ha reso possibile la sua stessa esistenza, che ha evitato che lui facesse tante "fesserie" e intorno a cui si è creata una tribù di figli, nipoti e parenti.

La domanda a cui non si è sottratto Draghi è la stessa a cui nessun adulto, sinceramente, può sottrarsi. Non idoli, ma, come ha precisato, "persone a cui devo qualcosa". Ecco già questa è una precisazione importante, in questo tempo di individualismo e, cosiddetta, autodeterminazione. L’idolo magari si ammira e si prova a diventare simili, poi lo si abbatte o dimentica. Ed è comunque una dinamica che punta sulle proprie forze. Invece no, innanzitutto occorre testimoniare gratitudine per i tanti che ci hanno “dato qualcosa”. Certo con gradazioni e intensità diverse. Ma è vero, noi siamo in gran parte quello che abbiamo ricevuto. Se è certo, come diceva d’Annunzio e canta più o meno la Vanoni, che "io sono quello che ho donato", è però altrettanto e forse più certo che "io sono quello che mi hanno donato". E se si offre qualcosa è perché in buona parte lo si è ricevuto.

Questa idea di tramando, di gratitudine, di riconosciuta “dipendenza” da rapporti, relazioni, incontri, che ci hanno formato, oggi è spesso avversata, e lo è da decenni, da una cultura e da una società dello spettacolo e da una politica, che invece sembrano centrate tutte a esaltare l’io, l’individuo, come indipendente, autonomo, senza relazioni fondamentali. Senza debiti di riconoscenza. Un superuomo di stampo nietzchano, se pur in sedicesimi, che crede di nascere da se stesso, che si realizza come autodeterminato e “indipendente”.

Indicare i propri punti di riferimento, oltre che un atto di onestà intellettuale, è il fondamento di una autentica tensione morale. È il primo passo verso la scoperta di quella parola oggi magica e tremendamente fraintesa che è la propria identità. I punti di riferimento che hai dicono chi sei. Se il tuo punto di riferimento è una delle tante figurine alla moda in un certo momento, la tua identità sarà alla mercé del potere che crea le mode. Può sembrare scontato, e invece non lo è, affermare che i punti di riferimento di valore sono quelli che ci vengono offerti dalla natura, i genitori, dalla tradizione a cui appartieni, gli insegnanti, e dagli incontri veramente importanti della vita.

La domanda di quel ragazzo è la domanda che oggi i ragazzi, spesso resi confusi da un potere pervasivo del mercato e della società dello spettacolo, fanno – anche muti – a noi adulti, specie se trovano adulti interessanti. Ma oggi, appunto, i ragazzi chiedono spesso muti punti di riferimento agli adulti, punti di riferimento consistenti ben oltre i luccichii e gli slogan del momento. Ci sono adulti che non si sottraggono? Che sanno che cosa rispondere?