Sabato 20 Aprile 2024

Alluvione in Emilia Romagna, cosa non ha funzionato. Contro il dissesto servono due miliardi

Programmati dalla Regione interventi per 800 milioni: pochi però sono stati portati a termine. Il nodo principale restano le casse d’espansione dei fiumi. I geologi: gli alvei sono troppo stretti

Bologna, 20 maggio 2023 – Servivano due miliardi. Due miliardi e l’Emilia-Romagna avrebbe avuto i fondi necessari per finanziare interamente le opere previste dall’ultimo Piano di gestione del rischio di alluvioni (Pgra). Servivano, perché quel piano è ora da buttare insieme col fango dell’alluvione oltre a ben sei miliardi di danni. E poco importa che la giunta Bonaccini avesse programmato interventi per la sicurezza territoriale per oltre 800 milioni di euro nel mandato 2020-’25, riducendo così drasticamente la forbice del fabbisogno: l’alluvione in Romagna ha scelto per tutti, senza concedere proroghe, rinvii né tavoli di concertazione.

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Il ponte crollato a Borgo Rivola
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Eppure che la situazione fosse critica lo metteva nero su bianco la Regione stessa, nella relazione del dicembre 2021 sulle aree a potenziale rischio significativo di alluvione che sono il 16% dell’Emilia-Romagna. In montagna, si legge nella relazione, i fiumi spesso attraversano “contesti fortemente antropizzati con centri abitati, infrastrutture, attività produttive che si sono sviluppati sui terrazzi fluviali e, quindi, in aree potenzialmente soggette a fenomeni di esondazione, sottraendo ai corsi d’acqua spazi preziosi per l’espansione delle piene”. In pianura, sono stati realizzati nel tempo argini continui anche di 14 metri d’altezza “con geometrie non dimensionate idraulicamente e inadatte alla manutenzione meccanizzata”. Una tempesta perfetta, perché l’efficienza del sistema idrografico è condizionata sì “dalle mutate condizioni climatiche”, ma anche “dall’uso che si è fatto del territorio. Un territorio che, negli ultimi decenni, ha profondamente modificato il suo assetto urbano e colturale inducendo – si legge nella relazione – l’artificialità strutturale del reticolo idrografico, l’impermeabilizzazione di ampie porzioni di territorio, l’inadeguatezza della rete di bonifica rispetto alle aspettative di sicurezza, e la progressiva e generale perdita di efficienza del sistema di smaltimento delle acque a causa delle alterazioni nella pendenza dei corsi d’acqua per effetto della subsidenza”. Ecco perché, ammette la stessa Regione, “il territorio dell’Emilia-Romagna è spesso interessato da fenomeni alluvionali importanti e intensi”.

I rischi idrogeologici
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Tra il 2015 e il 2020 ben 14 eventi meteo ’estremi’ sono stati gestiti con la richiesta dello stato d’emergenza nazionale. “Ma basta paragonare quanto appena accaduto col sisma del 2012 – afferma la direttrice di Legambiente Emilia-Romagna, Paola Fagioli –: i climatologi da anni mettono in guardia sulla polarizzazione siccità-alluvioni e tutte le modellizzazioni sono state in grado di predire questo scenario. Occorre, per prima cosa, informare la popolazione dei rischi che corre nei territori dove vive”. Poi c’è il fronte opere. “È vero, i modelli di calcolo devono essere riadattati a questi eventi estremi – premette il presidente regionale dell’ordine dei geologi, Paride Antolini –, ma negli anni abbiamo condizionato i fiumi in stretti alvei e argini. Bisogna invertire la rotta. A Cesena, tra l’altro, qualcosa si stava facendo, con la riconversione di tre cave lungo il Savio in casse di espansione (una già attiva, ndr ), opere di compensazione fatte da privati che, seppur piccole, servono per ridurre i colmi di piena”.