Mercoledì 24 Aprile 2024

Condanne definitive ai carabinieri Scuse dell’Arma alla famiglia Cucchi

Dodici anni a due militari per omicidio preterintenzionale, nuovo processo per gli altri due accusati di falso . La sorella di Stefano: giustizia è fatta. Il Comando Generale: i comportamenti accertati contraddicono i nostri valori

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ROMA

Arriva la parola definitiva sulla morte di Stefano Cucchi. La corte di Cassazione ha condannato in via definitiva per omicidio preterintenzionale i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro: la pena passa da 13 a 12 anni di reclusione. La Suprema Corte ha stabilito, inoltre, che ci dovrà essere un nuovo processo di appello per i due carabinieri accusati di falso nell’ambito della morte del giovane geometra romano. L’appello bis è per Roberto Mandolini, condannato a 4 anni di reclusione e per Francesco Tedesco (il militare che ad un certo punto ha collaborato alle indagini) condannato a 2 anni e mezzo di carcere. Ma su queste due condanne c’è il rischio della prescrizione sull’appello bis, come ha confermato uno dei legali, Eugenio Pini.

"A questo punto – ha detto Ilaria Cucchi – possiamo mettere la parola fine su questa prima parte del processo sull’omicidio di Stefano. Possiamo dire che è stato ucciso di botte, che non è morto perché è caduto dalle scale, che giustizia è stata fatta nei confronti di loro che ce l’hanno portato via. Devo ringraziare tante persone, il mio pensiero in questo momento va ai miei genitori che di tutto questo si sono ammalati e non possono essere con noi. Io credo nella giustizia e voglio credere nel fatto che per tutti gli altri reati venga fatta giustizia". "Siamo vicini alla famiglia Cucchi, cui condividiamo il dolore e ai quali chiediamo di accogliere la nostra profonda sofferenza e il nostro rammarico", ha scritto in una nota il comando generale dell’Arma dei Carabinieri. "I comportamenti accertati – continua la nota – contraddicono i valori e i principi ai quali chi veste la nostra uniforme deve sempre e comunque ispirare il proprio agire

Di giustizia ha parlato anche Rita Calore, la mamma di Stefano: "Finalmente è arrivata giustizia dopo tanti anni almeno nei confronti di chi ha picchiato Stefano causando la morte". Del pestaggio subito da Cucchi aveva parlato il procuratore generale: "Si è trattato di una punizione corporale di straordinaria gravità", riferendosi alle percosse subite da Cucchi che si era rifiutato di sottoporsi a fotosegnalamento. In questo contesto sono da confermare anche le aggravanti di aver agito per "futili motivi", ha proseguito il procuratore generale sottolineano che i militari erano "professionalmente preparati a trovarsi di fronte alle reazioni dei soggetti fermati" e quella di Cucchi "non era certo delle più eclatanti". Cucchi era stato fermato nel 2009 durante un controllo e portato in caserma per il possesso di droga. Venne preso a calci e pugni, percosso duramente tanto che si ruppe una vertebra con gravi ripercussioni sulla vescica. Il volto tumefatto. "Tutti i testimoni che hanno visto Stefano dopo il pestaggio sono rimasti impressionati dalle sue condizioni, e sono tante persone, infermieri, agenti di guardia, agenti delle scorte: non si può pensare che si siano messi d’accordo per un complotto contro i carabinieri", ha fatto presente il pg Epidendio.

Oltre alla famiglia Cucchi, si sono costituiti parte civile contro i 4 militari anche il Comune di Roma, tre agenti della polizia penitenziaria ai quali inizialmente era stata addossata la colpa del pestaggio, assolti fin dal primo grado. Presente in aula anche Mandorlini, difeso dagli avvocati Piero Frattaroli e Giosuè Naso che ha parlato di "sentenza scritta male da ogni punto di vista" e di "muro di gomma dal quale non riceviamo risposte convincenti". Per Covid non era presente l’avvocatessa Maria Lampitelli che difende D’Alessandro, e senza alcuna giustificazione non si è presentato nemmeno il principale difensore dell’imputato, l’avvocato Paolo Trofino che pure aveva chiesto la trattazione orale della causa insieme a tutte le altre difese. red. int.