Martedì 7 Maggio 2024

Come nel ’93, serve uno scatto o saranno guai

Raffaele

Marmo

Trent’anni fa, nel luglio del ’93, l’accordo sul costo del lavoro segnò, almeno sul terreno sociale, una prima svolta verso l’uscita dagli anni terribili di Tangentopoli e della fine della Prima Repubblica. Oggi, di fronte all’emergenza delle emergenze, quella salariale, sarebbe quanto mai necessario riprendere quella lezione e aggiornarla, con un nuovo Patto a tre. La questione salariale, nell’Italia della lenta uscita dalla pandemia, del caro-prezzi, con l’inflazione a due cifre, e della lunga perdita di potere d’acquisto delle retribuzioni, è la questione-chiave alla quale governo, sindacati e associazioni imprenditoriali devono, con urgenza, mettere mano. Lo era anche nel biennio drammatico del ’92-’93, quando a tutto lo sconquasso politico-istituzionale, terroristico-mafioso ed economico, si stava per aggiungere una conflittualità salariale e sindacale, che avrebbe finito per dilaniare il Paese in modo ancora più lacerante. Non fu per caso, allora, che, pur dentro uno scenario con mille fronti aperti, prima Giuliano Amato e poi Carlo Azeglio Ciampi si dedicarono in prima persona a disinnescare la bomba retribuzioni. L’artefice di quell’accordo, che salvò la pace sociale, fu Gino Giugni. Ma non da meno furono gli interlocutori: da Bruno Trentin a Sergio D’Antoni, da Pietro Larizza a Luigi Abete.

Oggi tocca a Giorgia Meloni tentare di avviare, prima che la situazione sfugga di mano, un negoziato vero, anche sulla scorta di quell’esperienza. Un negoziato che punti decisamente a far sì che governo, sindacati e imprese trovino la quadra per far finire strutturalmente più soldi nelle tasche dei lavoratori. Il come arrivarci è materia (non facile) delle parti in causa, ma è fin da ora evidente che la soluzione non potrà essere composta da un solo intervento. Mentre è fin da ora chiaro il presupposto per riuscirvi: utilizzare non le conclusioni del protocollo del ’93, ma la lezione di Amato, Ciampi e Giugni e quella dei Trentin e dei D’Antoni certamente sì.