Carola Rackete, ecco cosa dice l'ordinanza del Gip

Il giudice ha accolto appieno la tesi del capitano della Sea Watch. "Tripoli non è un porto sicuro, lo dice anche la Commissione europea"

Carola Rackete arriva a Porto Empedocle (Ansa)

Carola Rackete arriva a Porto Empedocle (Ansa)

Roma, 3 luglio 2019 - E' vero, Carola Rackete la capitana tedesca che era al comando della nave olandese Ong Sea Watch 3 ha fatto resistenza a pubblico ufficiale (in questo caso i finanzieri della motovedetta V808) ma lo ha fatto per necessità umanitarie, per l'adempimento di un dovere. E' questo il filo conduttore della decisione presa dal giudice per le indagini preliminari di Agrigento, Alessandra Vella, di non convalidare l'arresto della capitana avvenuto il 29 giugno scorso. "Il fatto - sottolinea il giudice nell'ordinanza -, deve essere molto ridimensionato nella sua portata offensiva". Il gip ha scritto chiaramente che la manovra pericolosa nei confronti dei pubblici ufficiali a bordo della motovedetta della Finanza è stata compiuta da Rackete "per adempiere agli obblighi di soccorso in mare derivanti dal complesso quadro normativo preso in considerazione".

Un soccorso che lo stesso giudice ha definito in più punti delle tredici pagine dell'ordinanza, "doveroso", sottolineando come il soccorso di naufraghi non si "esaurisce nella mera presa a bordo, ma nella loro conduzione fino al più volte citato porto più sicuro". Che in questo caso non poteva assolutamente essere Tripoli, come deciso dalla stessa capitana Rackete e più volte sottolineato dal giudice Vella. "Secondo le valutazioni del comandante – scrive il giudice – la Tunisia non poteva considerarsi un luogo idoneo per fornire le garanzie fondamentali ai naufraghi, conformemente a quanto previsto dalla Convenzione di Amburgo". Ripercorrendo appieno quanto sostenuto dalla stessa Rackete nei molti giorni di peregrinazione in mare. "La guardia costiera libica - ha spiegato la capitana nel corso dell'interrogatorio – ci ha detto di indirizzarci verso Tripoli. A quel punto io capito che non potevamo indirizzarci verso Tripoli, perché non sicuro: lì vi erano stati, per altri casi, diverse violazioni dei diritti umani. La stessa Commissione europea ci dice che il proto di Tripoli non è sicuro".

L'ordinanza del Gip