
Le ultime foto di Chiara Poggi con Alberto Stasi, scattate a Londra nel luglio 2007. Con loro l'amico Marco Panzarasa
Roma, 19 maggio 2025 – È la criminologa più famosa della tv. Un mix di competenza e opinioni scomode. È Roberta Bruzzone, che dallo scorso anno approfondisce i crimini anche a teatro. Con ottimi risultati. E così stasera sarà agli Arcimboldi per Delitti allo specchio, il racconto di due grandi, controversi, chiacchieratissimi casi giudiziari: l’omicidio di Meredith Kercher a Perugia e il delitto di Chiara Poggi a Garlasco, tornato prepotentemente di moda dopo l’apertura del nuovo filone d’indagine.
Bruzzone, ma che cosa porta sul palco?
"Una conferenza. Il taglio è scientifico, da profiler. Per provare a scardinare con gli spettatori queste due vicende molto dubbie, facendone emergere le fragilità giudiziarie".
Parlare oggi di Chiara Poggi è diventato complicato.
"Non l’avrei mai immaginato mesi fa, quando ho scelto quali casi portare a teatro. Anche perché è difficile togliere Stasi dalla scena del crimine. Ogni dettaglio sottolinea come ci sia una coerenza nella verità storica emersa dai cinque gradi di giudizio. In quello che può essere successo dopo che Chiara ha scoperto sul pc del fidanzato quei materiali pornografici così estremi e compulsivi. Uno sconvolgimento che fa saltare il progetto di passare la giornata insieme e apre a una serie di ambiguità mai chiarite dalla difesa. Moltiplicare oggi i protagonisti è quindi un esercizio acrobatico".
Non c’erano basi per riaprire il caso?
"Ho l’impressione che l’ipotesi indagativa sia in divenire, ma invece di restringersi continua ad allargarsi, mostrando debolezza. Le nuove perizie sul Dna vorrebbero rendere utilzzabili quelle tracce a lungo dichiarate non affidabili a fini giudiziari. Ma sono reperti confusi. Riguardo alle intercettazioni, dovrebbe uscire qualcosa di epocale per cambiare le cose. Mentre l’ipotetica arma del delitto mi sembra un’altra ipotesi fragile, considerando quante cose si possono trovare dragando le acque a distanza di anni".
Ma allora perché siamo di nuovo a Garlasco?
"È questa la domanda. Inquietante. La professionalità dei quattro magistrati coinvolti può rassicurare sulle ragioni, ma non riesco a capacitarmi di come si possa montare come panna un’inchiesta sempre più affollata, priva di direzione".
Si crea panico per vedere se qualcuno inciampa?
"Sì, una specie di strategia del terrore".
E Perugia?
"La scena dell’omicidio di Meredith non è compatibile con un solo soggetto. E Amanda Knox vi è collocata in maniera certa. Sollecito pure anche se non è stato determinato in quale momento preciso. La stessa sentenza di Cassazione, che pare assolvere i due imputati, in realtà nel merito afferma il contrario. Rimane un delitto impunito, l’occasione per confrontarsi col pubblico su come distinguere le suggestioni dai fatti".
E lei riesce a proteggersi dai fatti?
"Cerco di entrare nei meccanismi mentali dei protagonisti, di comprenderne le dinamiche di ragionamento, gli elementi che innescano l’azione. Una parte di lavoro che necessita di grande lucidità ma che non possiede nulla di laboratoriale, non indosso guanti e camice".
Quindi si sporca.
"Per forza. E sei spinta anche a fare i conti con te stessa".
Che cosa prova per i colpevoli?
"Sono chiamata a uscire dalla dimensione del giudizio, a sospendere la morale. Mi immergo nel profondo e ne esco con nuove informazioni da condividere. È un faticosissimo sforzo emotivo. Ma in questo mi aiuta l’esperienza da psicologa, i tanti studi fatti sul tema del narcisismo maligno".