Lunedì 6 Maggio 2024

Bandiere sovietiche sui carri russi "A caccia di consenso tra gli over 50"

L’analista Ferrari: "L’operazione propaganda è destinata a fallire. Pesano troppo le città rase al suolo"

di Alessandro Farruggia

"Vedere le bandiere rosse dell’Unione Sovietica, ricorda a molti che hanno vissuto nell’Urss un’epoca se non felice, tranquilla, a differenza dell’attuale. Un’epoca con forti certezze. È per questo che le truppe la sventolano e la fanno issare sui pennoni: per tentare una identificazione con la Russia". Così il professor Aldo Ferrari, docente dell’università Ca’ Foscari di Venezia e responsabile del programma Russia, Caucaso e Asia Centrale dell’Ispi di Milano.

Professor Ferrari, a Kherson e in altre città ucraine occupate dalle troppe russe si vedono bandiere rosse sventolate sui blindati e issate nelle piazze dagli occupanti. Che significa?

"Che la Russia tenta di recuperare il consenso che ha perso tra gli stessi russofoni ucraini. Gioca sul concetto di denazificazine che, se a noi fa sorridere perché non si può parlare di denazificazione di un paese che ha un presidente ebreo e dove i neonazisti quando hanno partecipato al voto hanno preso poco più dell’1%, per i russi rende più accettabile combattere un paese storicamente fratello e agli ex cittadini sovietici richiama la vittoria contro il nazismo nella Grande guerra patriottica. Il che significa anche ricordare un passato comune contro un nemico comune".

Può funzionare?

"A mio giudizio non funzionerà. Ma il tentativo è quello di facilitare i rapporti dell’occupante con almeno una parte della popolazione, soprattutto quella più anziana. Chi sta gestendo l’operazione militare ha ora capito che c’è un problema di consenso dell’invasione e ha puntato un target: chi rimpiange un’epoca. È un’operazione nostalgia. Che può far presa su chi ha più di cinquanta anni ma che sulle generazioni più giovani avrà un effetto contrario. Ed è l’ennesima dimostrazione che questa invasione russa sia stata mal pianifcata a livello di intelligence, oltre che militare. Putin è stato male informato su quel che avrebbe trovato in Ucraina. Nei regimi, capita".

I russi si aspettavano di essere accolti trionfalmente?

"Si aspettavano di avere un largo consenso. Ma anche nella parte sudorientale, i russi non sono certo stati accolti come liberatori, tranne qualche eccezione. Al massimo gli ucraini si sono adattatati. E oltretutto è proprio nelle regioni russofone che si combatte. Intere città sono state rase al suolo. Pensare di essere ben accolti combattendo come a Mariupol è paradossale. Attenzione poi a fare l’equazione russofoni uguale russofili. Anche i nord irlandesi cattolici parlano inglese, ma hanno combattuto strenuamente le truppe di Londra. La lingua è un fattore importantissimo, ma in alcuni contesti non è decisivo".

E quindi il mito delle statue di Lenin e della bandiera rossa non bastano?

"In Russia il mito dell’Urss c’è, specie tra le generazioni più anziane. In quel paese la storigrafia tende a vedere la storia russa come un tutt’uno, senza esaltare la storia sovietica ma anche senza demonizzarla, Tende a insegnare che la storia russa è una storia grande, anche se tragica, in tutte le sue epoche: zarismo e comunismo incluse. In Ucraina, specialmente dopo l’indipendenza e il forte nazionalimo che ne è seguito, questi richiami hanno invece efficacia su fasce sempre più residuali della popolazione".