Martedì 23 Aprile 2024

Alla verità non servono colpevoli

Gabriele

Canè

Su quanto accadde tra febbraio e marzo dell’anno di disgrazia 2020, abbiano un sacco di certezze e tanti dubbi. Le certezze. Prima, dalla Cina, alla fine del 2019 era arrivato un nuovo virus, sconosciuto e mortifero. Al paziente numero 1, Mattia Maestri, fu diagnosticato nella notte tra il 20 e 21 febbraio, ma lui, in realtà, veniva dopo qualche migliaia di infettati "clandestini". Mentre rischiava la pelle fu anche indagato per epidemia colposa: guarì e fu archiviato. Seconda, la Cina si era ben guardata (come certo rifarà in futuro) dal comunicare il diffondersi della malattia, consentendo a noi prevenzione e cura. Terza, nel lodigiano, poi soprattutto nella bergamasca, morirono migliaia di persone: una ecatombe trasversale, cittadini, sanitari, addetti ai servizi. Con i dubbi, invece, si potrebbe scrivere una Treccani. Li riassumiamo in quello al centro della legittima inchiesta della procura: quella strage si poteva evitare? È una risposta che meritano le vittime e i loro famigliari, che non presuppone però (e per ora) l’esistenza di una verità e di responsabilità giudiziarie. Qui non è il caso di essere colpevolisti o innocentisti. Ridicolo. Semplicemente realisti. E il realismo e la memoria impongono di dire che in quei giorni la scienza e il mondo brancolavano nel buio, che la necessità dei tamponi andava e veniva, che le mascherine entravano e uscivano dai protocolli Oms, che le terapie erano dei tentativi, quasi alla cieca, che qualunque governo nazionale e locale avrebbe avuto le stesse probabilità di farla giusta o sbagliata in perfetta buona fede e nel rispetto delle leggi. Dunque, se vi sono stati, in quei mesi e in quei luoghi, degli errori nella cabine di comando, sta nella rilettura dei fatti di scienza e politica. Per non ripetere errori. Sempre che la magistratura non decida che qualcuno ha lasciato morire quella gente. Così avremo un colpevole. Ma non necessariamente la verità.