Addio ingegno se anche Twitter perde la brevità

Roberto

Pazzi

Brevity is the soul of wit, la sintesi è l’anima dell’ingegno, secondo Shakespeare. Viene spontaneo rammentare tale verità alla notizia di come sui social la stringatezza di Twitter, che già aveva ceduto il suo canone da 140 caratteri a 280, stia per allargare ancor la maglia, a una non precisata ancora quantità. Sinistro segnale. Stiamo perdendo l’arte dell’aforisma, questa antica forma oracolare di saggezza che veicolava in poesia e filosofia, il sapere. Penso a Epicuro, a Seneca, a Cicerone e, in tempi a noi più vicini, anche a Wilde, a Nietzsche, a Cioran, a Butler. "Cotidie morimur", ogni giorno moriamo, diceva Seneca. "Ogni uomo è immortale, può sapere che morirà, non saprà mai che è morto", così Butler scolpiva una verità assoluta in poche beffarde parole. "Il fatto che la vita non abbia senso è una ragione in più per vivere, forse la sola", ecco invece l’insensatezza della vita accolta dalla caustica penna di Cioran. Se vogliamo invece servirci di una definizione quasi matematica di quella espressione dell’anima che più sfugge all’esattezza di una qualsiasi definizione, la poesia, eccoci serviti da Paul Valery: "La poesia è una esitazione prolungata fra il senso e il suono". E già che siamo entrati nei giardini incantati della poesia, come non ricordare sintesi folgoranti come quelli del verso di Ungaretti "La morte si sconta vivendo"? E l’incipit di Penna, "La vita è ricordarsi di un risveglio triste in un treno all’alba". E la forza tragica di Quasimodo in "Ognuno sta solo sul cuore della terratrafitto da un raggio di sole: ed è subito sera". "Dopo i 40 anni ognuno ha la faccia che si merita", ecco l’amara ironia di Wilde dipingere il vissuto che ci plasma giorno per giorno. Mi fermo per non umiliare a cartine di cioccolatini la nobile arte dell’aforisma, ma si sa che anche la musica di Bach e di Mozart è di continuo saccheggiata dalle colonne sonore della pubblicità, senza perdere il carattere di dono divino.