A Pontida più veleni che sorrisi

«UMBERTO Gandhi Bossi» (felice definizione di Zaia) smorza gli animi e gli accenni di rissa nel pratone: «Le mani, fratelli padani, usiamole contro la canaglia romana, non possiamo metterci a litigare».Ma i veleni, sopra e dietro il palco, sono più dei sorrisi. Quella che doveva essere la festa per la vittoria in Lombardia di Roberto […]

«UMBERTO Gandhi Bossi» (felice

definizione di Zaia) smorza gli animi e

gli accenni di rissa nel pratone:

«Le mani, fratelli padani, usiamole

contro la canaglia romana, non possiamo

metterci a litigare».Ma i veleni,

sopra e dietro il palco, sono più

dei sorrisi. Quella che doveva essere

la festa per la vittoria in Lombardia

di Roberto Maroni diventa la giornata

della svolta, quella in cui si capisce

che la Lega, da movimento, si

è trasformata in partito. Mai tante

divisioni, sia nella base che nella dirigenza.

Bossi, con la sensibilità del

vecchio capo, lo capisce, tanto che

come prima cosa sconfessa chi lo ha

preceduto al microfono: «Chi ha

detto che tutto va bene è un leccaculo.

A me spiace vedere la base che

viene trattata un po’ male.A chi protesta

dico: la vostra protesta l’abbiamo raccolta,

abbiamo capito che volete

contare di più». I ruoli si invertono.

All’ultima Pontida, quando

ancora regnava il cerchio magico

bossiano, erano i maroniani a insorgere.

Ora invece i fischi

vengono dai bossiani

ma non solo. Fischiatissimo

Flavio Tosi,

coi suoi sostenitori che quasi vengono

alle mani coi contestatori. La

partita in Veneto è complessa. «Ai

fratelli veneti dico che a furia di

commissariare non c’è più una sola

provincia in piedi, è arrivato il momento

di fare i congressi», dice Bossi.

Quando il governatore Luca Zaia

sale sul palco uno dei suoi consiglieri

srotola lo striscione «Veneto

congresso subito». «Mettetelo via»

tuona lui, fingendosi sorpreso. Ma

il senatur è stato chiaro. Oltre ai congressi

vuole verifiche «sui dirigenti.

No alle cariche eterne. Serve ogni

anno il gradimento della base, va

messo nello statuto». Poi l’attacco a

Bobo: «Non sono d’accordo con

Maroni che bisogna pensare solo al

Nord, se Roma non ci manda indietro

i soldi cosa facciamo? Dobbiamo batterci

su tutti i fronti».Non incassa

in silenzio Roberto, che poi

concludendo la sua prima Pontida

da segretario, dopo aver stretto la

mano al suo predecessore, rimarca:

«Ha ragione Bossi, se serve faremo

la guerra a Roma. Ma caro Umberto,

sei tu che devi andare giù e fare

la guerra. La tua esperienza su questo

ci tranquillizza».

Il programma di attacco del Carroccio

prevede infatti un ultimatum.

«A Roma hanno tempo fino al 31 dicembre,

dopodiché ci impegnamo a

superare autonomamente i vincoli

imposti da Roma. Non siamo qui

per scherzare» arringa Maroni. In altri

tempi si sarebbe parlato di secessione.

Ora il volano dell’entusiasmo

lo fornisce la Macroregione del

Nord.Firmano i tre governatori Cota,

Maroni e Zaia, la mozione che li

impegna a «rinegoziare col governo

centrale il patto di stabilità, il fiscal

compact e la pressione fiscale» senza

violare la costituzione. «L’articolo

117» dice Roberto Calderoli, lo

permette. Zaia aggiunge che il Veneto

aspetta «di poter fare il referendum

per l’indipendenza». Sia lui

che Maroni se la prendono col decreto

appena varato dal Governo

che sblocca i soldi per le imprese.

«Per noi non cambia nulla» diceZaia.

E Maroni rincara: «L’hanno fatto

per dare i soldi nostri al Sud».Un

tema che paga sempre, qui tra le valli.

Ma Bossi dal palco scende molto

prima che Maroni finisca, e l’assenza

di tutti i vertici nel finale lascia

intuire che, se l’ampolla con l’acqua

del Po è stata già sacrificata, presto

anche il Va’ Pensiero potrebbe essere

dismesso. «È andata meglio del

previsto» commenta laconico alla fine

il “saggio” Giancarlo Giorgetti.

E sono in tanti a pensarla come lui.