I doni di Prince

Prince forse non poteva competere, fino in fondo, con Michael Jackson. Quanto a notorietà più che altro (e soprattutto di fronte ai numeri discografici, basti pensare alle vendite di “Thriller”), perché poi per la musica non si poteva che tifare (solo) per lui nella singolar tenzone, più creata ad arte che reale, con Jacko. Jackson […]

Prince forse non poteva competere, fino in fondo, con Michael Jackson. Quanto a notorietà più che altro (e soprattutto di fronte ai numeri discografici, basti pensare alle vendite di “Thriller”), perché poi per la musica non si poteva che tifare (solo) per lui nella singolar tenzone, più creata ad arte che reale, con Jacko. Jackson aveva fatto della sua musica qualcosa di fisico. Fin troppo, se si pensa che il ricordo del “Moonwalk” rischia di sovrastare ancora qualsiasi altro suo pezzo. Arrivando a ricostruire ad arte il suo personaggio, rispetto agli esordi con i Jackson Five, fino a dare di sé un’immagine fin troppo angelica per essere totalmente vera. Ecco, Michael Jackson era la popstar. Quello da mainstream.  In quel mondo ci stava a suo agio anche Prince ma con ben altre vezzi che gli permettevano di conquistare fette di popolarità anche tra i cosiddetti duri e puri. Un po’ perché non ha mai abbandonato il gusto del proibito e della provocazione (basti pensare alle explicit lyrics di alcune sue canzoni). Inoltre perché non aveva rinnegato le sue origini: in primis la sua Minneapolis dove aveva piazzato i suoi studi di registrazione. Ma anche tutto quel background Motown che è stato un fondamentale impasto per creare la sua musica che risultava un sistema complesso, tecnicamente invidiabile (basti pensare alle sue doti di chitarrista), anche quando esplodeva e ruotava soltanto attorno alla sua voce, a quel falsetto tanto per intendersi di “Kiss”. E forse, proprio perché sono passati trent’anni esatti, è il 1986 l’anno migliore per capire come alla lunga, se proprio vogliamo insistere e non solo perché oggi se ne è andato per sempre, la sfida con Michael Jackson, l’ha vinta proprio lui: Prince. Sì, perché nella giornata dei ricordi e delle emozioni che affiorano perché si sono attaccate a un disco cui, magari, stasera è stata tolta un po’ di polvere e forse anche un po’ di patina del tempo, non ci sono solo a riempire gli occhi e le orecchie i suoi classici da “Purple rain” a “Kiss” (del 1986, appunto), ma anche due doni inaspettati. Il primo è proprio coevo di “Kiss”, 1986 quindi, ed è “Manic mondays” che Prince scrisse per le Bangles. Il secondo è “Nothing compares 2 u”, scritto nel 1985 e ripreso da Sinead O’ Connor prima che finissero gli anni ottanta (anche se poi il successo del pezzo sarebbe arrivato proprio nel 1990). E se esiste uno spirito musicale del tempo, uno Zeitgest, è sicuramente rappresentato da queste “madeleine musicali” che ci riportano con entrambi i piedi a quell’epoca. Ecco perché ci resta molto più facile ripensare a quegli anni, riascoltando “Kiss” o appunto “Manic mondays”. Rispetto a un pezzo di Jacko.

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