Un coso con due gambe detto guidogozzano

VEDI I VIDEO “Nemesi” , “Signorina Felicita” letta da Vittorio De Sica , “L’amica di nonna Speranza” letta da Paolo Poli , Agliè Canavese onora Guido Gozzano (1951) , Gozzano secondo Guido Ceronetti , “Le golose” cantata da Margot Firenze, 9 agosto 2021― Ricordando che il 9 agosto 1916 moriva a Torino Guido Gozzano. Guido […]

VEDI I VIDEO “Nemesi” , “Signorina Felicita” letta da Vittorio De Sica , “L’amica di nonna Speranza” letta da Paolo Poli , Agliè Canavese onora Guido Gozzano (1951) , Gozzano secondo Guido Ceronetti , “Le golose” cantata da Margot

Firenze, 9 agosto 2021 Ricordando che il 9 agosto 1916 moriva a Torino Guido Gozzano.

Guido Gozzano è stato un poeta necessario al nostro Novecento, all’evoluzione che la poesia di un secolo ha registrato nell’abbandonare modelli del passato e rivolgersi sperimentalmente al nuovo. Via Gozzano, come è stato a suo tempo dimostrato dagli studi di Edoardo Sanguineti e di altri critici, si giunge a Montale, e il percorso additato e in certi momenti fortemente precorso è quello di una poesia orientata nel senso del prosastico, del colloquiale (e non a caso “I Colloqui” fu il titolo di uno dei maggiori libri del poeta di Aglie’), dei toni abbassati e antieroici.

A differenza del crepuscolarismo di Corazzini, il crepuscolarismo di Gozzano, pur nutrendosi alle stesse fonti simboliste europee, introduce sistematicamente tra le sue modalità espressive l’ironia e attraverso l’ironia la polemica verso gli alti, irraggiungibili e vacui esempi di un dannunzianesimo diventato ormai, più che letteratura, fenomeno di costume. Eccoci così alla bellissima poesia odierna in cui l’autore testualmente dice, sottoponendo a disamina se stesso: “Chi sono? È tanto strano / fra tante cose strambe / un coso con due gambe / detto guidogozzano!”.

Grande Gozzano, oggi per di più letto magnificamente in uno dei video allegati, con la malizia dovuta, da Paolo Poli!

Marco Marchi

Nemesi

Tempo che i sogni umani

volgi sulla tua strada:

la chioma che dirada,

le case dei Titani,

o tu che tutte fai

vane le nostre tempre:

e vano dire sempre

e vano dire mai, 

se dunque eternamente

tu fai lo stesso gioco

tu sei una ben poco

persona intelligente!

Cangiare i monti in piani

cangiare i piani in monti,

deviare dalle fonti

antiche i fiumi immani, 

cangiar la terra in mare

e il mare in continente:

gran cosa non mi pare

per te, onnipossente!

Giocare con le cellule

al gioco dei cadaveri:

i rospi e le libellule

e rose ed i papaveri

rifare a tuo capriccio:

poi cucinare a strati

i tuoi pasticci andati

e il nuovo tuo pasticcio: 

ma, scusa, ci vuol poca

intelligenza! Basta –

di’ non ti pare? – basta

il genio d’una cuoca. 

Bada che non ti parlo

per acrimonia mia:

da tempo ho ucciso il tarlo

della malinconia.

Inganno la tristezza

con qualche bella favola.

Il saggio ride. Apprezza

le gioie della tavola

e i libri dei poeti.

La favola divina

m’è come ai nervi inqueti

un getto di morfina,

ma il canto più divino

sarebbe un sogno vano

senza un torace sano

e un ottimo intestino. 


Amo le donne un poco –

o bei labbri vermigli! –

Tempo, ma so il tuo gioco:

non ti farò dei figli.

Ah! Se noi tutti fossimo

(Tempo, ma c’è chi crede

di darti ancora prede!)

d’intesa, o amato prossimo,

a non far bimbi (i dardi

d’amor… fasciare e i tirsi

di gioia; – premunirsi

coi debiti riguardi),

certo – se un dio ci dòmini –

n’avrebbe un po’ dispetto;

gli uomini l’han detto:

ma “chi” sono gli uomini?

Chi sono? È tanto strano

fra tante cose strambe

un coso con due gambe

detto guidogozzano!

Bada che non ti parlo

per acrimonia mia:

da tempo ho ucciso il tarlo

della malinconia.

Socchiudo gli occhi, estranio

ai casi della vita:

sento fra le mie dita

la forma del mio cranio.

Rido nell’abbandono:

o Cielo o Terra o Mare,

comincio a dubitare

se sono o se non sono!

Ma ben verrà la cosa

“vera” chiamata Morte:

che giova ansimar forte

per l’erta faticosa?

Né voglio più, né posso.

Più scaltro degli scaltri

dal margine d’un fosso

guardo passare gli altri.

E mi fan pena tutti,

contenti e non contenti,

tutti pur che viventi,

in carnevali e in lutti.

Tempo, non entusiasma

saper che tutto ha il dopo:

o buffo senza scopo

malnato protoplasma

E non l’Uomo Sapiente,

solo, ma se parlassero

la pietra, l’erba, il passero,

sarebbero pel Niente.

Tempo, se dalla guerra

restassi e dall’evolvere

in Acqua, Fuoco, Polvere

questa misera Terra?

E invece, o Vecchio pazzo,

dà fine ai giochi strani!

Sul ciel senza domani

farem l’ultimo razzo.

Sprofonderebbe in cenere

il povero glomerulo

dove tronfieggia il querulo

sciame dell’Uman Genere.

Cesserebbe la trista

vicenda della vita e in sogno.

Certo. Ma che bisogno

c’è mai che il mondo esista?

Guido Gozzano

(da La via del rifugio, 1907)