Ulisse e la madre. Omero secondo Giovanna Bemporad

VEDI I VIDEO Giovanna Bemporad dice e commenta versi dell’ “Odissea” da lei tradotta , L’inizio del poema ancora secondo la Bemporad, con una sua poesia , Poesia senza trucchi , “In riva al mare” (da 3:54) Firenze, 21 giugno 2016 – Omero, con l’Odissea qui tradotta e letta, nel famoso, bellissimo passo della discesa all’Ade e dell’incontro […]

VEDI I VIDEO Giovanna Bemporad dice e commenta versi dell’ “Odissea” da lei tradottaL’inizio del poema ancora secondo la Bemporad, con una sua poesiaPoesia senza trucchi , “In riva al mare” (da 3:54)

Firenze, 21 giugno 2016 – Omero, con l’Odissea qui tradotta e letta, nel famoso, bellissimo passo della discesa all’Ade e dell’incontro di Ulisse con la madre, da Giovanna Bemporad.

La Bemporad  – scomparsa a Roma, la città in cui da tempo  si era stabilita,  il 6 gennaio 2013 – è stata una pregevole poetessa e una memorabile traduttrice. Fu amica di Pasolini,  Pagliarani e Ungaretti. Un’intensa rievocazione del suo anticonformistico e decisivo rapporto intellettuale instaurato durante gli anni scolastici bolognesi con il giovane Pier Paolo Pasolini (sullo sfondo di questa amicizia giocata anche su una accomunante diversità sessuale, oltre a Bologna, un’estiva, assolata, mitica Casarsa friulana tra frequentazioni pedagogico-popolari, alta cultura letteraria e iniziazione politica) si legge nella Vita di Pasolini di Enzo Siciliano.

Questa incìvece l’immagine che di lei ci ha dato Elio Pagliarani: “Ebbi la ventura di incontrare nella prima adolescenza una Pizia adolescente, autentica sacerdotessa di Apollo (si misurava già con Omero), musicale fin negli ingorghi più intrigati delle viscere”.

Di origini ebraico-ferraresi, Giovanna Bemporad ha affidato la propria poesia ad un unico volume di versi intitolato Esercizi, apparso per la prima volta nel 1948, riproposto in seguito da Garzanti e giunto di recente a due edizioni ampliate di consuntivo, comprendenti le poesie della vecchiaia. Ha tradotto, oltre che Omero, anche dall’Eneide di Virgilio e, integralmente, l’Elettra di Hugo von Hofmannsthal.

Un’ultima considerazione a commento di uno degli allegati. Si noti come il testo recitato nel primo video dalla Bemporad risulti in più punti variante rispetto al testo a stampa qui riprodotto, secondo quella instabilità di lezione nel tradurre Omero cui la traduttrice espressamente si riferisce nei commenti conclusivi del video stesso: instabilità che provoca peraltro, come ancora il filmato documenta, un piccolo inciampo nella bella lettura a memoria del brano.

Marco Marchi

Da Odissea, libro XI

Quando viene l’estate o il ricco autunno,

per lui bassi giacigli di ammucchiate

foglie si fanno ovunque, sul declivio

del florido vigneto; e qui egli giace

dolente, accresce in cuore la sua pena

sognando il tuo ritorno, e una vecchiezza

dura gli è sopra. Anch’io cosi mi spensi,

vinta dal fato; non mi colse e uccise

nelle mie stanze coi suoi miri dardi

l’infallibile Artemide, e un malanno

non mi assalì, di quelli che dal corpo

con lento logorio strappano l’anima:

ma il rimpianto di te, nobile Ulisse,

del tuo senno e del tuo tenero affetto

mi ha tolto il bene della dolce vita”.

Disse; io tentai, con l’animo in tumulto,

la madre morta stringere al mio petto.

Tre volte mi slanciai, spinto dall’ansia

di afferrarla, e tre volte dalle braccia

mi volò via, simile ad ombra o a sogno;

sempre più mi cresceva in cuore acuto

strazio, e a lei mi rivolsi supplicando:

“Madre, perché non resti, se io mi struggo

di abbracciarti, così che entrambi al collo

gettandoci le braccia, anche nell’Ade,

gustiamo l’acre voluttà del pianto?

O forse a me questo fantasma l’alta

Persefone ha mandato, perch’io debba

più forte ancora piangere e dolermi?

Dissi; e con voce fioca mi rispose

l’augusta madre: “Ahi, figlio mio. tra gli uomini

tutti il più sventurato, non la figlia

di Giove, non Persefone ti inganna:

si muta in questa forma, quando muore,

l’uomo mortale; i tendini disfatti

non congiungono più le carni e le ossa,

tutto divora l’impetuosa furia

del fuoco ardente, appena esce la vita

dalle ossa bianche; vola via per l’aria

l’anima, e si dilegua come un sogno.

Ma tu tendi al più presto a ritornare

verso la luce, e tutto serba in mente

per ridirlo, più tardi, alla tua sposa”.

Omero 

(da Odissea, traduzione di G. Bemporad, Le Lettere)

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