Novilunio di settembre. Gabriele d’Annunzio

VEDI I VIDEO  “Il novilunio” , “I pastori” , “I pastori” musicati da Ildebrando Pizzetti , “Gabriele d’Annunzio nella luce dell’immortalità” , Cinegiornale Luce 1938 , Visita al Vittoriale degli Italiani con Giordano Bruno Guerri Firenze,  27 settembre 2022 – La poesia di oggi – un capolavoro di Alcyone e dell’intera produzione lirica dannunziana – fu composta […]

VEDI I VIDEO  “Il novilunio” , “I pastori” , “I pastori” musicati da Ildebrando Pizzetti , “Gabriele d’Annunzio nella luce dell’immortalità” , Cinegiornale Luce 1938 , Visita al Vittoriale degli Italiani con Giordano Bruno Guerri

Firenze,  27 settembre 2022 – La poesia di oggi – un capolavoro di Alcyone e dell’intera produzione lirica dannunziana – fu composta al Secco Motrone, in Versilia, la sera del 31 agosto 1900.

Un solo rilievo, prima di abbandonarci alla potente, infallibile suggestione di questo componimento. Si notino al v. 79 del testo «gli ossi delle seppie» che forniranno venticinque anni dopo, assieme a tanti altri materiali di accertabile e accertata derivazione dannunziana, il titolo a un nuovo classico della letteratura italiana del Novecento: Ossi di seppia di Eugenio Montale.

Questo, tra continuità linguistica e ribaltamento ideologico, come bene emerge rileggendo e mettendo a confronto (in queste Notizie, alcuni ricorderanno, l’abbiamo un’altra volta fatto) Meriggio di d’Annunzio e Meriggiare pallido e assorto di Montale.

Marco Marchi

Il novilunio

Novilunio di settembre!

Nell’aria lontana

il viso della creatura

celeste che ha nome

Luna, trasparente come

la medusa marina,

come la brina nell’alba,

labile come

la neve su l’acqua,

la schiuma su la sabbia,

pallido come

il piacere
 su l’origliere,

pallido s’inclina

e smuore e langue

con una collana

sotto il mento sì chiara

che l’oscura:

silenzioso viso esangue

della creatura

celeste che ha nome Luna,

cui sotto il mento s’incurva

una collana

sì chiara che l’offusca,

nell’aria lontana

ov’ebbe nome Diana

tra le ninfe eterne,

ov’ebbe nome Selene

dalle bianche braccia

quando amava quel pastore

giovinetto Endimione

che tra le bianche braccia

dormiva sempre.

Novilunio di settembre!

Sotto l’ambiguo lume,

tra il giorno senza fiamme

e la notte senza ombre,

il mare, più soave

del cielo nel suo volume

lento, più molle

della nube

lattea che la montagna

esprime dalle sue mamme

delicate,

il mare accompagna

la melodia

della terra, la melodia

che i flauti dei grilli

fan nei campi tranquilli

roca assiduamente,

la melodia

che le rane

fan nelle pantane

morte, nel fiume che stagna

tra i salci e le canne

lutulente,

la melodia

che fan tra i vinchi

che fan tra i giunchi

delle ripe rimote

uomini solinghi

tessendo le vermene

in canestre,

con sì lunghi

indugi su quelle parole

che ritornano sempre.

Novilunio di settembre!

Tal chiaritate

il giorno e la notte commisti

sul letto del mare

non lieti non tristi

effondono ancora,

che tu vedi ancora

nella sabbia le onde

del vento, le orme

dei fanciulli, le conche

vacue, le alghe

argentine,

gli ossi delle seppie,

le guaine

delle carrube,

e vedi nella siepe

rosseggiar le nude

bacche delle rose canine

e nel campo la pannocchia

dalla barba d’oro

lucere, che al plenilunio

su l’aia il coro

agreste monderà con canti,

e nella vigna

il grappolo d’oro

che già fu sonoro d’api,

e nel verziere il fico

che dall’ombelico stilla

il suo miele,

e su la soglia del tugurio

biancheggiar la conocchia

dell’antica madre che fila,

che fila sempre.

Novilunio di settembre,

dolce come il viso

della creatura

terrestre che ha nome

Ermione, tiepido come

le sue chiome,

umido come il sorriso

della sua bocca

umida ancora

della prima uva matura,

breve come la sua cintura

nel cielo verde

come la sua veste!

Ha tremato

nella sua veste

verde che odora

ad ogni passo

come un cespo ad ogni fiato,

ha tremato

al primo gelo notturno

ella che a mezzo il giorno

dormì con la guancia

sul braccio curvo

e si svegliò con le tempie

madide, con imperlato

il labbro, nella calura,

vermiglia come un’aurora

aspersa di calda rugiada

e sorridente.

E io le dico: “O Ermione,

tu hai tremato.

Anche agosto, anche agosto

andato è per sempre!

Guarda il cielo di settembre.

Nell’aria lontana

il viso della creatura

celeste che ha nome

Luna, con una collana

sotto il mento sì chiara

che l’oscura,

pallido s’inclina e muore…”

Ma dice Ermione,

non lieta non triste:

“T’inganni. Quella ch’è sì chiara

è la falce

dell’Estate, è la falce

che l’Estate abbandona

morendo, è la falce

che falciò le ariste

e il papapevo e il cíano

quando fioríano

per la mia corona

vincendo in lume il cielo e il sangue;

ed è la faccia dell’Estate

quella che langue

nell’aria lontana, che muore

nella sua chiaritate

sopra le acque

tra il giorno senza fiamme

e la notte senza ombre,

dopo che tanto l’amammo,

dopo che tanto ci piacque;

e la sua canzone

di foglie di ali di aure di ombre

di aromi di silenzii e di acque

si tace per sempre;

e la melodia di settembre,

che fanno i flauti campestri

ed accompagna il mare

col suo lento ploro,

non s’ode lassù nell’aria

lontana ov’ella spira

solitaria

il suo spirto odorato

di alga di rèsina e di alloro;

e l’uomo che s’attarda

in tessere vermene

già fece del grano mannelle

ed or fa canestri

per l’uva, con un canto eguale,

e tutto è obliato;

obliato anche agosto

sarà nell’odor del mosto,

nel murmure delle api d’oro;

per tutto sarà l’oblio,

per tutto sarà l’oblio;

e niuno più saprà

quanto sien dolci

l’ombre dei voli

su le sabbie saline,

l’orme degli uccelli

nell’argilla dei fiumi,

se non io, se non io,

se non quella che andrà

di là dai fiumi sereni,

di là dalle verdi colline,

di là dai monti cilestri,

se non quella che andrà

che andrà lungi per sempre,

e non con le tue rondini, o Settembre!”

Gabriele d’Annunzio

(da Alcyone, 1903)