Firenze, 30 novembre 2016 – E’ Pier Paolo Pasolini con il post anniversario Il glicine sull’abisso. Pasolini a trionfare nella nostra gara mensile di novembre. Un’affermazione assoluta che distacca nel vantaggio ogni altro pur valido concorrente della competizione. E che concorrenti, e con quali testi! Al secondo gradino del podio il post La fine della Grande Guerra. Ungaretti, all’altro lato del vincitore, terzi classificati ex aequo, i post Tozzi, Baudelaire e un fiore del male (con Tozzi nella inedita veste di traduttore baudelairiano) e, un po’ inaspettatamente ma del tutto meritatamente (è uno scrittore a cui siamo particolarmente affezionati, oltre che un ottimo e ben più noto pittore), Doppio anniversario per Lorenzo Viani.
Tra i commenti del mese scegliamo, ben sapendo di fare torto ad altri parimenti centrati e significativi, quelli di Duccio Mugnai, Isola Difederigo e giacomotrinci. Nell’ordine: “Vedo nel ‘glicine’ di Pasolini una dolorosa, non voluta, trasposizione mimetica con l’esorbitare inarrestabile della natura, implacabile risorsa di vita e di morte, nella sua generosa mobilità di dono crudele e furto macabro. Così è il profumo ‘oscuro’ del glicine che ricorda al poeta sessualità e decomposizione, inesorabile testimonianza di una forza primigenia e trascinante, ormai non più afferrabile, già non più, ormai, ‘Trilogia della Vita’, ma condanna, strada oscura verso gli Inferi, da cui non si può risalire, perché, morbosamente ‘pascoliano’, il sesso rivela l’altro lato inquietante della sua creatività in negativo, ormai distruzione e denigrazione di ciò che era impatto vitale e appariva falsamente rigenerativo”; “Ha abitato il mondo diviso tra ‘passione e ideologia’, tra le ragioni del corpo e quelle della storia, ha conosciuto lo scandalo della morte affidando a un non-sapere testamentario il voto della sua innocenza, della sua aurorale castità annunciata ad un Pasolini diciannovenne dall’insorgente ‘gusto della vita e del realismo’. Fiorirà e sfiorirà per lui la poesia in forma di rosa, l’esperienza esaltante e dolorosa di creazione e caduta del linguaggio; ma intanto è aprile, mese topico per Pasolini, e a rinascere è il glicine con la sua perenne promessa di resurrezione, con il suo profumo inebriante e sensuale, figura della poesia”; “Tra Leopardi e Gramsci: lo strappo gracile del corpo, straziato tra pessimismo della ragione e ottimismo della volontà, o meglio di una vita che, ostinatamente e ciecamente ‘risorge’ da se stessa, dalla propria mortalità apparente. La forma ‘ragionante’ data alla poesia in questa fase della poetica pasoliniana apre fratture, ospita ferite che si faranno col tempo vieppiù spalancate, aperte, fino a sgombrare il campo dalla Poesia “poetica” degli esordi friulani, e dalla poesia in generale ‘poetata’. Un genio del ‘disabitare’, una forma dell’eresia che guarisce, attualmente, dalla velenosa, tossica sete del conformismo”.
Buona lettura o rilettura e a domani, con nuovi autori e nuovi testi!
Marco Marchi
Il glicine sull’abisso. Pasolini
VEDI I VIDEO Versi da “Il glicine” , Pasolini legge “La terra di lavoro” , … e versi da “Poesia in forma di rosa” , “Io so” , L’ultima intervista televisiva di Pasolini , “La via degli amori”
Firenze, 2 novembre 2016 – Ricordando che il 2 novembre 1975, Pier Paolo Pasolini fu assassinato al Lido di Ostia e segnalando questa importante pubblicazione presente nei “Quaderni” della Fondazione Calzari Tedeschi di Brescia: Pier Paolo Pasolini, Marxismo e Cristianesimo, a cura di Fabio Danelon, con la registrazione inedita della conferenza, Milano, Edizioni Unicopli.
All’altezza cronologica delle Poesie incivili e della Religione del mio tempo, il glicine non è più per Pasolini l’emblema di una pura esistenza perennemente rinnovantesi come all’epoca dell’Usignolo della Chiesa Cattolica, ma il simbolo di una verginità defunta, la resistente restituzione lirica di una consapevolezza oltranzistica, da mistico-razionalista smentito. La poesia si prepara ad adattarsi agli esiti rigorosamente maturati all’interno del proprio esercizio: subisce il crollo, sopravvive, simula, si mimetizza, si pragmatizza, si magmatizza, si nasconde – lei mito sfuggente, intonazione, ma anche vento che soffia dall’esterno – in altre «forme della poesia».
Poesia in forma di rosa, intitolerà fra poco, restando in tema di fiori, il poeta. Andar per fiori all’Inferno: nella Divina Mimesis, in Petrolio (dove il glicine, con il suo profumo da descrizione sinestetica di una realtà lontana dalla realtà, farà testuali apparizioni). Come per diffrazione – poesia del sesso in tempi storici di esaurimento repressivo e di incipiente permissivismo – sboccia Il fiore delle Mille e una notte.
Ma poi verrà, com’è noto, l’«abiura dalla Trilogia della vita», si stabilizzeranno una volta per sempre nell’itinerario poetico e narrativo di Pasolini già così minacciato e catafratto, toni espressivi terminali da Tetro entusiasmo. Pasolini in Petrolio scenderà davvero all’Inferno, come nella vita e come in molte delle sue letture, dei suoi grandi riscontri letterari anche in Descrizioni di descrizioni, in parallelo, saggisticamente convocati e resi efficienti: da Strindberg a Sade (Salò!), da Dostoevskij a Dante, secondo ulteriori iridescenze, adesso, di un Dante come grande veicolatore garante della possibilità autoanalitica estrema in termini di poesia, se in chi elabora Petrolio – lo ha notato con assoluta pertinenza Aurelio Roncaglia – «l’impulso più profondo non è di tipo oggettivo-narrativo, bensì d’intima ricerca, dunque inclinato a un istintivo lirismo». Pasolini affonda il bisturi nel proprio corpo, fa della sua affilata ed oltranzistica «autoanalisi» un’«autopsia».
Dante come sperimentazione del morire, del vedere e comprendere attraverso la morte. Lo scandalo si rinnova, un’eretica, equivocata e inaccettata «forza del passato» si estremizza in forma linguistica, in struttura, in genere letterario nuovo ambiziosamente tentato su base culturalistica dispiegata e di nuovo contaminata (dalle Argonautiche di Apollonio Rodio a L’écriture et l’expérience des limites di Philippe Sollers); ma i termini essenziali del confronto si ripropongono pressoché immutati, tra richieste ideologiche di pronunciamento e di giudizio ed esigenze di testimonianza poetica, di intransigente, finale e ultramondana autorappresentazione conoscitiva in cifra poetica.
Un sogno visionario di bolge e gironi in cui il capire è «gioiosa cognizione del capire», dove i personaggi pare che parlino una lingua «meravigliosa», più che mai poeticamente risonante e lucente, «in versi o in musica». E non si può non ripensare, a integrazione del discorso e per contrasto, ai versi del Glicine che già ad apertura degli anni Sessanta avevano detto: «tra il corpo e la storia, c’è questa / musicalità che stona, / stupenda, in cui ciò che è finito / e ciò che comincia è uguale, e resta / tale nei secoli».
Marco Marchi
Da Il glicine
… e intanto era aprile,
e il glicine era qui, a rifiorire.
(…)
Prepotente, feroce
rinasci, e di colpo, in una notte, copri
un intera parete appena alzata, il muro
principesco di un ocra
screpolato al nuovo sole che lo cuoce …
E basti tu, col tuo profumo, oscuro,
caduco rampicante, a farmi puro
di storia come un verme, come un monaco:
e non lo voglio, mi rivolto – arido
nella mia nuova rabbia,
a puntellare lo scrostato intonaco
del mio nuovo edificio.
(…)
Tu che brutale ritorni,
non ringiovanito, ma addirittura rinato,
furia della natura, dolcissima,
mi stronchi uomo già stroncato
da una serie di miserabili giorni,
ti sporgi sopra i miei riaperti abissi,
profumi vergine sul mio eclissi,
antica sensualità…
Pier Paolo Pasolini
(da La religione del mio tempo, 1961)
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