‘Notizie di poesia’. Maggio, il post del mese (con i vostri commenti)

31 maggio 2017 –  Si afferma con ampio margine di consensi, in questo mese di maggio, il post intitolato La madre di Ungaretti: una combinazione perfetta tra un grande poeta e uno dei suoi testi più noti e celebrati. Sufficientemente prevedibile anche il piazzamento al secondo posto, che spetta al post “condiviso” D’Annunzio, Montale e il […]

31 maggio 2017 –  Si afferma con ampio margine di consensi, in questo mese di maggio, il post intitolato La madre di Ungaretti: una combinazione perfetta tra un grande poeta e uno dei suoi testi più noti e celebrati. Sufficientemente prevedibile anche il piazzamento al secondo posto, che spetta al post “condiviso” D’Annunzio, Montale e il meriggio; più a sorpresa, nonostante il valore altissimo della prima poetessa interessata e l’indubbia sottovalutazione della seconda, il terzo posto andato alla Dickinson, con il post incentrato su una poesia davvero splendida,Emily Dickinson e il sole, e alla pari all’argentina di origine ticinese Alfonsina Storni, con Denti di fiori, cuffia di rugiada. Alfonsina Storni.

Tra i commenti di maggio, commenti ungarettiani come dicevamo, scegliamo quelli di Giacomo Trinci, Maria Grazia Ferraris e Elisabetta Biondi della Sdriscia. Rispettivamente: “Il sipario di questa scena si apre e si chiude con le due parole ‘antiche’ della nostra tradizione lirica: cuore e sospiro. Il sigillo da stil novo dantesco apre la nuova stagione ungarettiana, dopo la frantumazione metrica dell’allegria dei naufragi e la grande stagione dell’avanguardia. Il canto è disteso, ma con tutte le passate incisioni, abrasioni, ferite e rotture, che lo rifanno comunque nuovo. Come tra i versi-relitti, della stagione dell’allegria, era sepolta in alcuni casi la tenuta musicale dell’endecasillabo e del settenario, così in questa apparente ricomposizione metrica e stilistica tipica della seconda stagione di Ungaretti, l’endecasillabo, il settenario, sillaba ansiosamente la propria presenza, sin dal primo verso. La metrica riemerge dalla balbuzie, e la porta in sé: testimone inesausta. Come il figlio, porta in sé la Madre: sua ferita“; “Questa rievocazione dell’immagine materna è legata al lutto, ma si esprime in una dimensione religiosa, al confronto con l’aldilà: la condizione della morte della madre spinge l’autore a riflettere su se stesso e sulla propria vita bisognosa di perdono, perché con l’aiuto e la mediazione di lei possa essere riconquistata per lui la perduta innocenza. La dimensione degli affetti è subordinata alla riconquista dei valori morali e segna la coerenza religiosa nel tempo del ruolo materno, l’affettività del periodo dell’infanzia – la decisione di essere la mediatrice, statua davanti all’Eterno – riconfermata come una missione nel momento finale , della morte. L’aspetto individuale, specifico, fisico, della figura materna è ignorato: il corpo è un muro d’ombra, che separa; la Madre (M maiuscola), e assume un valore universale, simbolico, e il suo corpo. L’anafora- come una volta mi darai la mano – come già ti vedeva quando eri ancora in vita – come quando spirasti- domina la struttura del testo e sono inseriti e subordinati a una prospettiva religiosa. Non è in gioco la perdita umana, il dolore della perdita, bensì l’ipotesi di un futuro incontro, messa in discussione dalla legge del Dio-Padre“; “‘La madre’ di Ungaretti mi richiama alla mente, per antitesi, ‘La ballata delle madri’ di Pasolini. La madre evocata dai versi commossi di Ungaretti è la Madre, l’educatrice, che nell’inflessibilità dei suoi saldi principi non deroga al suo ruolo di guida sicura nemmeno per un istante. È la madre che sa prendere per mano il figlio per accompagnare i suoi passi sulla strada della vita: mano salda e sicura, che esprime il suo amore con la forza dell’esempio e della fermezza più assoluta. Tutto quello che le madri della ballata pasoliniana non sono, forse tutto quello che noi madri di oggi non sappiamo più essere. Nonostante l’amore“.

Buona lettura e buona rilettura a tutti! E a domani con un nuovo poeta e un nuovo testo.

Marco Marchi

La madre di Ungaretti

VEDI I VIDEO “La madre” letta da Giuseppe Ungaretti , “La madre” cantata da Iva Zanicchi , Ungaretti e il segreto della poesia , Ungaretti si racconta , Ungaretti intervistato da Pasolini (da “Comizi d’amore”, 1965) , “Preghiera”

Firenze, 14 maggio 2017 – Al di là dell’indubbia grandezza monografica di un’opera, Giuseppe Ungaretti è stato e resta un poeta centrale del Novecento italiano nella misura in cui ha saputo rappresentare possibilità della poesia moderna: possibilità effettive e tra loro diverse – contrastanti e perfino internamente al sistema Ungaretti antitetiche, se Ungaretti è stato il poeta di Allegria di Naufragi (poi L’Allegria) e quello del Sentimento del Tempo –, svolte in un contesto specifico (e di volta in volta mutevolmente specifico), con le sue particolarità, i suoi sviluppi, i suoi vantaggi e i suoi ritardi rispetto ad altre tradizioni.

Ungaretti ha vissuto da protagonista un secolo, di quel secolo nutrendosi e a quel secolo facendo scuola. Vita d’un uomo, appunto: siamo con un titolo più volte riconfermato, più di altri ritenuto valevole, riassuntivo di esiti e prima ancora di una disposizione, al nodo cruciale in cui le ragioni della biografia e quelle della produzione letteraria, la vita e la poesia, si affrontano, cercano i loro punti di contatto e insieme demarcano autonomie, siglano competenze.

In realtà paesaggi e scenari biografici presto in Ungaretti si confondono, si annullano e si trasfigurano. La trincea sarà tra poco, per lui proveniente da Alessandria d’Egitto desideroso di appartenenze e patrie ritrovate, un nuovo deserto. Nasce la poesia di Ungaretti, ed anche la partecipazione del poeta alla Grande Guerra reagisce di comporto, nel senso di un’incidenza molto personalizzata di eventi, da «vita d’un uomo».

Il poeta, l’«uomo di pena», le parole, l’armonia. Il «processo di raccoglimento che poté essere aiutato dalla vicenda umana della guerra» presupposto con evidente cautela da un critico acuto come Gianfranco Contini risulta già impostato, se Parigi – laddove una strumentazione storicamente e ibridamente si forma collegando a ritroso Apollinaire a Mallarmé e Mallarmé a Guérin – si è ridotta a «grigi inenarrabili» e anzi, ancora citando, a «sfumature all’infinito smorzate del colore».

Analogamene la nebbia di Milano, dove ad esempio Ungaretti frequenta la casa di un pittore d’avanguardia come Carlo Carrà, si è risolta in un «sentimento d’infinito», ed ogni ambiente esterno ha sedato in partenza rivolte riconducibili ad altri mezzi e ad altre impostazioni, profilando invece, preminenti, i confini dell’io per una cattura in parole della libertà, dell’invocata armonia, dell’innocenza.

La guerra rivela ad Ungaretti – «improvvisamente», come il poeta sottolinea – il linguaggio. E tuttavia il carattere traumatico, drammatico e liberatorio di una condizione registrata ha maturato non da ora risorse e possibilità, ha avuto e avrà bisogno di cultura per ritrovarsi così stabilito ed espressivamente soddisfatto. Perfino il topos romantico-simbolista dell’étranger, aggiornabile e personalizzabile in quello dello «spatriato», si è definito tramite Guérin e Baudelaire, tramite Leopardi: i poeti.

Purificata, ricondotta al suo valore fondante e incorruttibile di monade interna, la parola essenziale cui Ungaretti perviene torna così ad essere il primo atomo di un discorso di rottura senza confronti, ma anche di una conquista ulteriore, imprevista e più ampia: una ricomposizione già agisce all’interno della raccolta, specificandosi in metri sotterranei, sia pure contrastati da una pronuncia rilevata ed isolante di vocaboli, sillabe e suoni.

Si annuncia la ricomposizione del «lungo dissidio» fra tradizione e invenzione, ordine e avventura, che sarà valida fino agli anni estremi. La parola ungarettiana si immerge nel verso, lo ricompone e lo ritrova, tenta un nuovo canto. E sarà l’endecasillabo che suggella Preghiera a gettare un ponte – complice il variantismo, in Ungaretti antistoricamente costitutivo e sistematico –  tra L’Allegria e Sentimento del Tempo: «Quando il mio peso mi sarà leggero / il naufragio concedimi Signore / di quel giovane giorno al primo grido».

E dal Sentimento del Tempo è tratta la classica, giustamente nota La madre, con cui anche noi vogliamo partecipare alla tradizionale Festa della Mamma.

Marco Marchi

La madre

E il cuore quando d’un ultimo battito

Avrà fatto cadere il muro d’ombra,

Per condurmi, Madre, sino al Signore,

Come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,

Sarai una statua davanti all’Eterno,

Come già ti vedeva

Quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia.

Come quando spirasti

Dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m’avrà perdonato,

Ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d’avermi atteso tanto,

E avrai negli occhi un rapido sospiro.

Giuseppe Ungaretti 

(da Sentimento del Tempo, 1933)

I VOSTRI COMMENTI

Maria Grazia Ferraris

Questa rievocazione dell’immagine materna è legata al lutto, ma si esprime in una dimensione religiosa, al confronto con l’aldilà: la condizione della morte della madre spinge l’autore a riflettere su se stesso e sulla propria vita bisognosa di perdono, perché con l’aiuto e la mediazione di lei possa essere riconquistata per lui la perduta innocenza. La dimensione degli affetti è subordinata alla riconquista dei valori morali e segna la coerenza religiosa nel tempo del ruolo materno, l’affettività del periodo dell’infanzia – la decisione di essere la mediatrice, statua davanti all’Eterno – riconfermata come una missione nel momento finale, della morte. L’aspetto individuale, specifico, fisico, della figura materna è ignorato: il corpo è un muro d’ombra, che separa; la Madre (M maiuscola), e assume un valore universale, simbolico, e il suo corpo. L’anafora – come una volta mi darai la mano – come già ti vedeva quando eri ancora in vita – come quando spirasti – domina la struttura del testo e sono inseriti e subordinati a una prospettiva religiosa. Non è in gioco la perdita umana, il dolore della perdita, bensì l’ipotesi di un futuro incontro, messa in discussione dalla legge del Dio-Padre.

Elisabetta Biondi della Sdriscia

La madre di Ungaretti mi richiama alla mente, per antitesi, “La ballata delle madri” di Pasolini. La madre evocata dai versi commossi di Ungaretti è la Madre, l’educatrice, che nell’inflessibilità dei suoi saldi principi non deroga al suo ruolo di guida sicura nemmeno per un istante. È la madre che sa prendere per mano il figlio per accompagnare i suoi passi sulla strada della vita: mano salda e sicura, che esprime il suo amore con la forza dell’esempio e della fermezza più assoluta. Tutto quello che le madri della ballata pasoliniana non sono, forse tutto quello che noi madri di oggi non sappiamo più essere. Nonostante l’amore.

Duccio Mugnai

“L’Allegria” è senza dubbio la raccolta poetica dove ogni parola è “scavata” nell'”abisso”. Guerra, solitudine, dolore, l’essenzialità della vita muovono l’invenzione di Ungaretti sui resti di carta che riesce a trovare in trincea. Una poesia di urlata, agghiacciante, violenta disperazione. In “Sentimento del tempo”, invece, Ungaretti ritorna alla ricerca di un’esperienza più serena della vita; così anche nella fede, nello studiare e rielaborare la tradizione lirica italiana. “La Madre” è punto nevralgico della sua esistenza e della sua poesia. Compresa nella sezione Leggende, è un “nuovo” Ungaretti, il quale, assorbita la lezione delle avanguardie, si apre agli antichi sentimenti, agli esempi familiari del ricordo, gli unici che possano condurlo ad una pacificazione interiore, mistica e cristiana con il mondo.

Ilaria77

Una lirica forte e schietta, la madre, personaggio quasi eroico, incorrotto, nella sua fede pura ed elementare si erge di fronte a noi con una fermezza quasi mitica, pur nella vecchiaia e nel tremore delle sue membra. Si conferma la densità espressiva dell’Ungaretti dell’Allegria.

Matteo Mazzone

Anche il “vecchio” Ungaretti si mostra capace di una poesia di forte slancio amoroso: non trionfa solo la guerra e la sua violenza, ma c’è spazio per le riflessioni legate al suo circostanziato mondo privato, di cui il poeta sembra schivamente riproporre, qua e là, lacerti subito identificabili. Ritornano, dunque, tutti i componenti della sua famiglia – a cadenza di rituale, di preghiera tutta personale e tutta amaramente rivissuta – a evocare da un lato la cruda realtà della loro scomparsa, e dall’altro l’innocente volontà di glorificare il loro ricordo. Dalla moglie al figlio, dal fratello alla madre: e proprio quest’ultima che va configurandosi come alma genitrix, spirito incorporeo perché defunto nell’Aldilà cristiano e cristologico – si veda almeno la maiuscola del vocativo “Madre” che può rimandare, a mio avviso, alla figura mariana – verso cui Ungaretti ansimante non aspetta altro che suggellare un’eterna e definitiva ricongiunzione. Solo il “rapido sospiro” di lei acconsentirà alla legittima riunificazione, dettata dal più puro e vero degli amori possibili tra gli uomini: quello, appunto, di una madre per un figlio.

tristan51

Adesso “La madre”, ma tanti anni dopo, nel “Taccuino del vecchio”, “Per sempre”: “Senza niuna impazienza sognerò, / mi piegherò al lavoro / che non può mai finire, / e a poco a poco in cima / alle braccia rinate / si riapriranno mani soccorrevoli, / nelle cavità loro / riapparsi gli occhi, ridaranno luce, / e, d’improvviso intatta / sarai risorta, mi farà da guida / di nuovo la tua voce, / per sempre ti rivedo”. Due testi assolutamente da confrontare, perfino semanticamente concorrenziali tra loro nel prevedere, nell’immaginare.

Tania Montini

Questa poesia di Ungaretti è un esempio di ricomposizione , non solo sul piano biografico dell’identità, ma anche sul piano letterario, e più specificatamente metrica. Il poeta ricompone il verso e la sintassi tradizionale , dopo la frantumazione ritmica delle prime poesie, utilizzando l’endecasillabo e il settenario. Il tema religioso diventa rilevante. Egli immagina di incontrare la madre nell’aldilà, la quale si rifiuta di guardarlo fino a quando non abbia ottenuto il perdono di Dio. In stretto contatto con gli ambienti intellettuali europei dell’epoca , il “sentimento del tempo” sembra essere influenzato dalla poesia di Paul Valery e dalla sua idea di poesia pura, slegata dalla contingenza e dalla drammaticità della storia.

Paolo Parrini

Una poesia intrisa d’amore, di perdita e di speranza in un nuovo abbraccio dopo la morte di questo corpo terreno .Mi viene in mente la meravigliosa poesia di Giacomo Trinci alla madre, ove lo slancio soprannaturale di Ungaretti e’ dolore vivo “un morso asciutto”, e’ “il sunto di un racconto della carne”.Due visioni altissime, tra il dolore della carne e le vette della speranza oltre il nostro tempo mortale. Tra le due eccellenze, il” morso asciutto” si staglia, vivido nell’aria, nella carne, nell’anima.

giacomotrinci

Il sipario di questa scena si apre e si chiude con le due parole “antiche” della nostra tradizione lirica: cuore e sospiro. Il sigillo da stil novo dantesco apre la nuova stagione ungarettiana, dopo la frantumazione metrica dell’allegria dei naufragi e la grande stagione dell’avanguardia. Il canto è disteso, ma con tutte le passate incisioni, abrasioni, ferite e rotture, che lo rifanno comunque nuovo. Come tra i versi-relitti, della stagione dell’allegria, era sepolta in alcuni casi la tenuta musicale dell’endecasillabo e del settenario, così in questa apparente ricomposizione metrica e stilistica tipica della seconda stagione di Ungaretti, l’endecasillabo, il settenario, sillaba ansiosamente la propria presenza, sin dal primo verso. La metrica riemerge dalla balbuzie, e la porta in sé: testimone inesausta. Come il figlio, porta in sé la Madre: sua ferita.

Marco Capecchi

“E solo quando m’avrà perdonato,/Ti verrà desiderio di guardarmi.” L’amore più profondo e immenso di questa vita che si ritrova in subordine del perdono di Dio. La trasformazione del sentimento umano per eccellenza nell’immensità del divino. Grande Poesia.

Chiara Scidone

Il poeta sogna di ricongiungersi finalmente con la madre nell’aldilà ed ella lo conduce davanti al giudizio e al perdono di Dio. La madre ha il ruolo di mediatrice che inizialmente, nei primi versi, si presenta leggermente severa ma poi torna a essere affettuosa negli ultimi. L’amore tra madre e figlio in questo componimento supera i limiti della morte, penso che sia un’ottima poesia per festeggiare la festa della mamma.

Mariella Migliorini Mazzini

Bellissima la scelta dei filmati! La forza di questa poesia non lascia mai indifferente, credi di conoscerla, l’hai analizzata tante volte, eppure trovi sempre una sfumatura nuova, un tocco che ti emoziona.

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