‘Notizie di poesia’. Dicembre, il post del mese (con i vostri commenti)

Firenze, 28 dicembre 2020 – Un podio internazionale e ben distribuito fra spazio e tempo, quello dell’ultimo mese di questo 2020 agli sgoccioli. Vince infatti la sublime, ottocentesca ma sempreverde e modernissima poetessa statunitense Emily Dickinson con il post Una carrozza per l’eterno. Emily Dickinson. Al secondo gradino del podio di fine anno un poeta […]

Firenze, 28 dicembre 2020 Un podio internazionale e ben distribuito fra spazio e tempo, quello dell’ultimo mese di questo 2020 agli sgoccioli. Vince infatti la sublime, ottocentesca ma sempreverde e modernissima poetessa statunitense Emily Dickinson con il post Una carrozza per l’eterno. Emily Dickinson. Al secondo gradino del podio di fine anno un poeta italiano amatissimo, Cesare Pavese, affermatosi con il post Gente che non capisce. Cesare Pavese, e alla pari l’antipoetico e parimenti straordinario, italiano e mitteleuropeo Italo Svevo con Auguri a Italo Svevo.  Al terzo posto ancora un bell’ex aequo tra due poeti stranieri di notevole spessore come il primonovecentesco, austriaco Rainer Maria Rilke e il contemporaneo, canadese-statunitense Mark Strand, molto apprezzati e commentati rispettivamente in L’autunno cosmico. Rainer Maria Rilke e Cos’era. Mark Strand.

Tra i vostri commenti dedicati alla poesia di Emily Dickinson segnaliamo quelli particolrmente significativi di Antonietta Puri, framo e Duccio Mugnai (ma anche altri, come sempre accade, avrebbero meritato di essere scelti). Nell’ordine: “Come in altri poemi sulla morte della Dickinson, c’è un tragitto – per quanto breve – che la persona morente deve percorrere prima di giungere alla fine; è un piccolo viaggio che deve intraprendere, a volte da sola, più spesso in compagnia, come in questo caso in cui Emily si identifica peraltro con la inconsapevole morente. La Morte, personificata nelle vesti di un garbato, galante signore, accompagnata da un personaggio che non lascia trapelare nulla di sé, detto immortalità, si ferma con la sua carrozza alla porta di colei che ancora non sospetta, che è ignara e riluttante ma, in un certo senso, pronta e adeguatamente agghindata per l’occasione, e la invita per una lenta, piacevole gita durante la quale la protagonista ha modo di rivedere luoghi, persone e situazioni che hanno fatto parte della propria vita… Ma dopo un inizio idilliaco, la gita si configurerà per quello che è: l’ ultimo viaggio; d’improvviso, la predestinata avvertirà un brivido gelido e avrà la rivelazione del proprio essere vestita di garze leggere, come una sposa, perché il ‘corteggiatore infaticabile’, ‘l’unico pretendente mai deluso’ la sta accompagnando alla loro nuova casa che è scavata nella terra, senza che la sprovveduta abbia avuto almeno il tempo – come accade al moribondo di ‘I’ve Seen a Dying Eye’ di ‘viaggiare’ col suo occhio annebbiato ‘attorno a una stanza senza posa’ nel tentativo inutile di intravedere qualcosa che le facesse sperare nell’esistenza dopo la morte, se non, col senno di poi, l’orientamento della testa dei cavalli…”; “E che l’emozione in parola si inchini alla fonte dell’animale, allo specchio del suo sguardo, custode dell’inesprimibile, e obbedisca al suo silenzio. Nell’immagine finale evocata dalla intuizione remota di cavalli rivolti all’eternità (che sembra richiamare ‘l’esistere senza fine’ dell’animale nell”Ottava Elegia’ di Rilke, il suo incedere con lo sguardo che ‘ravviva il tutto immenso e se stesso – in quel tutto – salvo e redento per l’eternità’) avvertiamo – ben condensata – tutta la straordinaria capacità della Dickinson di vedere e di far apparire. Cara Emily, se – come tu stessa hai scritto in una lettera datata 1863 – il ‘Soprannaturale è solo il Naturale dischiuso’, le vertigini di pensiero e di possibilità sollecitate dalle opere della tua immensa mente immaginifica conservano, immacolato e immortale, il dono di coinvolgere ed elevarci per divina naturalezza. ‘Sostanza o essenza colossale’ in ‘forma smisurata’ i tuoi versi hanno il potere di condurre a vette di pura poesia anche il nostro spirito mediocre e inaridito. Immensa … sempre.”; “La solitudine visionaria ed il genio della Dickinson hanno prodotto per noi questo capolavoro di poesia. La morte è gentile, nella sua gelida, incolore, muta impassibilità. Con la morte la Dickinson percorre il viaggio della sua vita, dove tutto ciò, che sembra espressione e esperienza di felicità, le viene negato. Solo questa terribile compagna la congela in un unico attimo di immortalità, che il poeta intuisce esser vero, irripetibile e solo. Per la Dickinson e le sue ossessioni rivelative, c’è solamente la morte, paradossalmente viva, lugubre ed eterna, insieme a lei, nella sua opera lirica. Questo artificioso, distillato prodotto di dolore e genialità giunge a noi lettori come un’apocalisse di vitalità. Ancora paradosso, per noi che leggiamo, e per l’autore, di cui, davvero, si potrebbe parlare di una ‘piaga rossa languente’ come per Campana, o della frase ungarettiana ‘la morte si sconta vivendo’. Un percepire, un sentire l’efficacia dilaniante e rivelativa delle parole, propri solo dei poeti, come ci fa osservare anche Zanzotto. Nel suo articolo, Marchi sottolinea proprio questo aspetto. Attraverso una depressiva solitudine, immersi nel male dell’esistere, Montale afferma che ‘solo gli isolati comunicano'”.

A domani con l’indice degli autori del 2020 e con i primi auguri per un 2021 sereno e felice, per quanto possibile in un momento difficile come quello che il mondo sta attraversando.

Marco Marchi

Una carrozza per l’eterno. Emily Dickinson

VEDI I VIDEO “Poichè non potevo fermarmi per la morte” , Piccola antologia , Visita alla casa di Emily Dickinson , “Dopo un grande dolore”

Firenze, 10 dicembre 2019 Ricordando che il 10 dicembre 1830 nasceva ad Amherst, nel Massachusetts, la grande Emily Dickinson.

Per pochi altri poeti come per Emily Dickinson valgono e trovano compimento in un’opera le ipotesi formulate da Montale in una intervista del 1972: ipotesi secondo le quali “solo gli isolati comunicano”. Parole che anche un altro importante poeta italiano del Novecento, Andrea Zanzotto, ha fatto proprie, elevandole nel suo stesso biografico consistere a Pieve di Soligo, un paese del trevigiano con il suo paesaggio, a condotta di vita e inverandole, quel che più conta, in una produzione letteraria complessa quanto decisiva, implicante e determinante.

Ed è così che anche Zanzotto, articolando sinteticamente il discorso su base testimoniale, può illustrarci in maniera esemplare il paradosso dell’atto poetico, “originato – sue parole cui non mi para ci sia niente da togliere o aggiungere – da un estremo sentimento della irripetibilità, dell’unicità proprie dell’individuale, ma anche di un prepotente senso di necessità di partecipare ad altri questa ‘unicità’ e di riceverne quella altrui“. Il poeta colto sul crinale tra io e mondo della sua espressione, del suo pressante bisogno di affidarsi a parole ogni volta osmoticamente avvertite  miracolo dell’arte  sue e non sue.

Di tutto questo l’opera di Emily Dickinson, qui mirabilmente rappresentata da un testo come Because I could not stop for Death, costituisce una prova inconfutabile, radiosa: perfettamente in se stessa risolta e come tale ancor oggi universalmente riconoscibile, da affiancare per bellezza e verità alla certificazione che proprio della solitudine la poetessa americana ci ha lasciato in una delle sue lettere (spesso poesia pura anch’esse): “Dipingerei un quadro capace di commuovere fino alle lacrime, se avessi la tela adatta, e la scena sarebbe la solitudine, e le figure solitudine, e in ogni luce, ogni ombra una solitudine. Potrei empire una sala di paesaggi così pieni di solitudine che gli uomini vi sosterebbero davanti a piangere, e poi si affretterebbero verso le loro case, grati di ritrovarvi un essere amato”.

Marco Marchi

Poichè non potevo fermarmi per la morte

Poichè non potevo fermarmi per la morte

lei gentilmente si fermò per me

La carrozza portava solo noi due

e l’immortalità

Andavamo piano, ignorava la fretta

e io avevo abbandonato

il mio lavoro e il mio riposo

per la sua cortesia

Passammo oltre la scuola

dove i bambini nell’intervallo facevano la lotta in cortile

Passammo campi di grano che ci fissavano

Passammo oltre il tramonto

o piuttosto fu lui a oltrepassarci

Scesero rugiade tremanti e gelide

solo garza il mio vestito,

il mio mantello di tulle

Ci fermammo a una casa

che sembrava un gonfiore della terra

Il tetto era appena visibile

il cornicione sepolto nel suo oro

Da allora sono secoli eppure

sembrano più brevi del giorno che intuii

per la prima volta che le teste dei cavalli

erano rivolte all’eterno.

(traduzione di Natalia Ginzburg)

Because I could not stop for Death

Because I could not stop for Death –

He kindly stopped for me –

The Carriage held but just Ourselves –

And Immortality.

We slowly drove – He knew no haste

And I had put away

My labor and my leisure too,

For His Civility –

We passed the School, where Children strove

At Recess – in the Ring –

We passed the Fields of Gazing Grain –

We passed the Setting Sun –

Or rather – He passed Us –

The Dews drew quivering and Chill –

For only Gossamer, my Gown –

My Tippet – only Tulle –

We paused before a House that seemed

A Swelling of the Ground –

The Roof was scarcely visible –

The Cornice – in the Ground –

Since then – ‘tis Centuries – and yet

Feels shorter than the Day

I first surmised the Horses’ Heads

Were toward Eternity –

Emily Dickinson

(1863; da Poesie)

I VOSTRI COMMENTI

Maria Grazia Ferraris

La poesia, l’arte, la solitudine, l’immortalità …e la morte- “solo noi due”-: i temi principi di Emily Dickinson, il suo mondo, parallelo a quello quotidiano, un mondo che può far posto “gentilmente” –all’ultimo viaggio, oltrepassando i paesaggi della banale quotidianità, i bambini che giocano, i campi di grano, il tramonto …- alla morte, la più democratica dei sovrani , che ha la sua casa dai cornicioni d’oro posta in un luogo non definibile, l’eternità. E. D. traduce verità filosofiche vertiginose in linguaggio terrestre. La sua quotidiana prigione dorata e volontaria è infatti soprattutto un punto di osservazione, di ascolto che le permette di sentire anche il centro dell’universo– specchiandosi nella propria vasta irrinunciabile solitudine. La morte diviene metafora della distanza; e la vita si traduce nel viaggio di avvicinamento ad essa: “Fu questo un poeta –colui che distilla/ un senso sorprendente da ordinari / significati, essenze così immense/da specie familiari…”

framo

E che l’emozione in parola si inchini alla fonte dell’animale, allo specchio del suo sguardo, custode dell’inesprimibile, e obbedisca al suo silenzio. Nell’immagine finale evocata dalla intuizione remota di cavalli rivolti all’eternità (che sembra richiamare “l’esistere senza fine” dell’animale nell’Ottava Elegia di Rilke, il suo incedere con lo sguardo che “ravviva il tutto immenso e se stesso – in quel tutto – salvo e redento per l’eternità”) avvertiamo – ben condensata – tutta la straordinaria capacità della Dickinson di vedere e di far apparire. Cara Emily, se – come tu stessa hai scritto in una lettera datata 1863 – il “Soprannaturale è solo il Naturale dischiuso”, le vertigini di pensiero e di possibilità sollecitate dalle opere della tua immensa mente immaginifica conservano, immacolato e immortale, il dono di coinvolgere ed elevarci per divina naturalezza. “Sostanza o essenza colossale” in “forma smisurata” i tuoi versi hanno il potere di condurre a vette di pura poesia anche il nostro spirito mediocre e inaridito. Immensa… sempre.

Antonietta Puri

Come in altri poemi sulla morte della Dickinson, c’è un tragitto – per quanto breve – che la persona morente deve percorrere prima di giungere alla fine; è un piccolo viaggio che deve intraprendere, a volte da sola, più spesso in compagnia, come in questo caso in cui Emily si identifica peraltro con la inconsapevole morente. La Morte, personificata nelle vesti di un garbato, galante signore, accompagnata da un personaggio che non lascia trapelare nulla di sé, detto immortalità, si ferma con la sua carrozza alla porta di colei che ancora non sospetta, che è ignara e riluttante ma, in un certo senso, pronta e adeguatamente agghindata per l’occasione, e la invita per una lenta, piacevole gita durante la quale la protagonista ha modo di rivedere luoghi, persone e situazioni che hanno fatto parte della propria vita…Ma dopo un inizio idilliaco, la gita si configurerà per quello che è: l’ ultimo viaggio; d’improvviso, la predestinata avvertirà un brivido gelido e avrà la rivelazione del proprio essere vestita di garze leggere, come una sposa, perché il “corteggiatore infaticabile”, “l’unico pretendente mai deluso” la sta accompagnando alla loro nuova casa che è scavata nella terra, senza che la sprovveduta abbia avuto almeno il tempo – come accade al moribondo di “I’ve Seen a Dying Eye” di “viaggiare” col suo occhio annebbiato “attorno a una stanza senza posa” nel tentativo inutile di intravedere qualcosa che le facesse sperare nell’esistenza dopo la morte, se non, col senno di poi, l’orientamento della testa dei cavalli…

tristan51

Emily, assieme a Saffo, la più grande poetessa dell’intera cultura occidentale. Nessuna come lei!

framo

Se includiamo l’oriente… una grandissima anche Marina Cvetaeva… tristan51, concorda?

Antonella Bottari

Una delle poesie più famose dell’ autrice e scritte come una sorta di racconto, uno svolgersi dei fatti che dà una sensazione di familiarità, con appena un accenno a nostalgici ricordi, pervaso tuttavia da un senso di gelo concretizzato nella rugiada che scende sul corpo vestito di garza e tulle. La morte è gentile, ma comunque decisa a rispettare i suoi appuntamenti. E l’ultimo viaggio si fa in solitudine, noi, la morte, e quel mistero insondabile che è l’eternità. Il percorso è lento: la morte, messaggera dell’eternità, non ha certo fretta. Il senso di lentezza è ulteriormente accentuato nella terza e quarta strofa: i bambini nell’intervallo, i campi di grano, il tramonto, la rugiada notturna, danno la sensazione di un percorso che si snoda nell’arco di un’intera giornata, quasi un rivivere la propria vita nel momento in cui finisce. Nella penultima strofa eccoci arrivati. La casa che abiteremo sembra un rigonfiamento del terreno, da dove sporge solo il cornicione del tetto. I secoli che passeranno saranno ormai senza tempo, brevissimi in confronto a quel lungo giorno in cui capimmo subito che quel viaggio apparentemente familiare era quello che ci portava verso l’eternità.

Chiara Scidone

Nei suoi momenti superiori, l’anima diventa eterea. Ma solamente a pochi eletti è concessa l’immortalità, la rivelazione dell’eternità. Secondo la Dickinson solo quelle poche anime che hanno ottenuto un mortale annullamento possono ottenerla. La poetessa nel corso della sua vita ha sempre aspirato a questa immortalità e io credo che in qualche modo con questa poesia lei l’abbia trovata.

Damiano Malabaila

Tra le facoltà della poesia c’è anche quella di dar voce ai morti. O meglio, di rendere in immagini palpabilissime i pensieri dei vivi – di quei vivi che sentono più degli altri, i poeti – sul grande mistero che ci attende. La impareggiabile Emily lo fa con la sua solita grazia magnetica e devastante: le quartine a ritmo alternato sobbalzanti come il trotto dell’ultimo cavallo, la sua lingua inglese quasi pudica, sobria e democraticamente (come la morte) paratattica, ma allo stesso tempo vibrante dello slancio di un pensiero che tocca le radici della vita.

Duccio Mugnai

La solitudine visionaria ed il genio della Dickinson hanno prodotto per noi questo capolavoro di poesia. La morte è gentile, nella sua gelida, incolore, muta impassibilità. Con la morte la Dickinson percorre il viaggio della sua vita, dove tutto ciò, che sembra espressione e esperienza di felicità, le viene negato. Solo questa terribile compagna la congela in un unico attimo di immortalità, che il poeta intuisce esser vero, irripetibile e solo. Per la Dickinson e le sue ossessioni rivelative, c’è solamente la morte, paradossalmente viva, lugubre ed eterna, insieme a lei, nella sua opera lirica.

Questo artificioso, distillato prodotto di dolore e genialità giunge a noi lettori come un’apocalisse di vitalità. Ancora paradosso, per noi che leggiamo, e per l’autore, di cui, davvero, si potrebbe parlare di una “piaga rossa languente” come per Campana, o della frase ungarettiana “la morte si sconta vivendo”. Un percepire, un sentire l’efficacia dilaniante e rivelativa delle parole, propri solo dei poeti, come ci fa osservare anche Zanzotto. Nel suo articolo, Marchi sottolinea proprio questo aspetto. Attraverso una depressiva solitudine, immersi nel male dell’esistere, Montale afferma che “solo gli isolati comunicano”.

Giulia Bagnoli

Bellissimi versi, dove la morte è vista come un viaggio, l’ultimo, verso l’immortalità.

Elisabetta Biondi della Sdriscia

Versi intensi che con la loro profondità ci fanno riflettere e fanno eco a domande che abbiamo dentro di noi. Ma quanta serenità e naturalezza nel toccare, leggera e ancora così giovane, tasti che non possono che provocare turbamento e timore: “Passammo oltre il tramonto/o piuttosto fu lui a oltrepassarci”! Bella anche la traduzione della Ginzburg.