‘Notizie di poesia’. Aprile, il post del mese (con i vostri commenti)

Firenze, 30 aprile 2013 –  Inevitabilmente considerato ‘post fuori concorso’, per ovvie ragioni di implicazione personale, il pur gettonatissimo ‘Io sono… molto leggero’. Palazzeschi e l’incredibile uomo di fumo Perelà, il vincitore del mese di aprile è il post che qui si ripubblica, L’iper-inetto. ‘Passaggi’ da ‘Sul finire’ di Giacomo Trinci. Dopo di lui Dintorni della poesia. Tozzi […]

Firenze, 30 aprile 2013 –  Inevitabilmente considerato ‘post fuori concorso’, per ovvie ragioni di implicazione personale, il pur gettonatissimo Io sono… molto leggero’. Palazzeschi e l’incredibile uomo di fumo Perelà, il vincitore del mese di aprile è il post che qui si ripubblica, L’iper-inetto. ‘Passaggi’ da ‘Sul finire’ di Giacomo Trinci. Dopo di lui Dintorni della poesia. Tozzi e Dostoevskij, scrittori del ‘sottosuolo’ e Perì l’inganno estremo. ‘A se stesso’ di Giacomo Leopardi.

Indubbiamente una bella terna, da interpretare come un sorprendente, inaspettato ma consequenziale  ritrovamento a ritroso di radici, di autorevoli origini letterariamente e umanamente rivendicabili. Dalla poesia di un autore contemporaneo di valore come Giacomo Trinci, che ha scritto un libro di versi intitolato Voci dal sottosuolo e che alcuni dei suoi versi straordianari ha espressamente dedicato a TozziLeopardi, alla letteratura sublime di due grandi classici tragici della modernità quali il narratore di Con gli occhi chiusi (ottimamente studiato in abbinamento a Dostoevskij dalla brava Elena Gori) e il poeta dei Canti.

Buona lettura o rilettura a tutti, e questa volta, come ogni mese, accompagnata dai vostri commenti, compreso quello in versi di Trinci stesso che ringraziando dice: “ringrazio tutti in versi da mandare all’aria!…  (prima voce, all’aria)/ amici, mi piace mandare all’aria i versi, la/ poesia,/ più nostra che mia,/ mi piace involarla per aria, disfarla, di tutti,/ d’anonima una musica si perde, non si nota,/ la nota si disperde come amore,/ come gentile d’atto di pietà, miei cari,/ come lieve quel suo battito di strali,/ ma tutto all’aria, rimandare, i voli,/ commenti all’aria, commentaria…”.

Marco Marchi

L’iper-inetto. ‘Passaggi’ da ‘Sul finire’ di Giacomo Trinci

VEDI IL VIDEO Giacomo Trinci parla di Svevo e legge sue poesie dedicate allo scrittore triestino

Firenze, 10 aprile 2013

Passaggi

…il vento dell’ala dell’imbecillità.

C. Baudelaire

non gli riesce niente

a fare niente non gli è mai riuscito,

neanche l’inattivo agisce in lui,

per lui tutto è nel fare spento,

inoperoso agisce, annaspa a mezzo fare

e ride un poco, buono, non si tiene,

spisciancola di qua, di là,

sui muri adulti del dovere,

si direbbe, volendo definire

quel che non può finire,

definire per nulla,

il giorno s’alza, sbalza ogni pensiero,

da un luogo all’altro,

al margine dei fiori,

tiranneggia il possibile, lo tiene

in potenza, potentemente,

sbaglia sempre, fallisce,

ma non fallisce bene,

sempre si tiene al mezzo,

non sfinisce la tela,

a fare niente – bene non riesce,

non riesce all’inettitudine,

perchè c’è sempre quel qualcosa

che un poco c’è, disamato ma c’è,

inconcluso ma vivo,

quindi sbadiglia e ride,

come un idiota vero, come il cielo,

i gigli del campo, vero, gli uccelli,

…….

uccelli del cielo,

gli arride l’alba, il mattino,

gli cola saliva dal mento, beato,

lo guarda guardare che mangia,

lo mangia il bisogno, la cura,

non dura la fame, neppure,

lo stronca, o lei pure si sazia,

una volta, lei pure si spegne,

e lui piange, forse, si bagna,

di lacrime e piscio,

di là, mentre l’acqua ristagna…

mio rivo, poi canta, lui vivo,

ecco che torna, si prova a sorridere

agli altri, per farsi gentile –

vedere, parere d’intorno,

elegante, gentile, sparire,

poi pensa, ma non gli riesce,

pensare è assai duro, è da grandi,

poi canta da solo, rigira la strofe,

balordo, gli occhioni celesti, contado,

di campi l’odore,

dell’erba l’idiota sapore,

poi tenta un fraseggio di luce

che vede lontano sparire,

di subito in subito, muore…

stare dietro alle cose, che l’affanna.

mettersi avanti, invece, stando fermi.

così convinto, il suo tempo tracanna,

guardando tutto, nei suoi piedi inermi.

ora si mangia i pensieri,

lo vedo che pacchia, smargiassa,

pensieri sgranocchia come confetti,

dolcissimi allieta,

ma ingolla a voluttà, ne caca a sfare,

ne ripete a smisura oltre ogni modo,

smisurato contiene l’universo

in tutto quanto cacca ne fa feci,

stringe le pugna come avesse il mondo,

i denti spacca nel mordere materia,

i pensieri divora come nulla

come un frullato di concetti in fuga,

dispensa cerimonie e liturgie

nel banchetto furioso delle idee,

gira rigira il corso di bugie…

la cacca schiaccia i piedi

ne sovrasta,

lo intingola di tutto,

la pietà delle cose lo accartoccia

lo segna la materia,

marca la terra che lo copre intero,

lui si commuove come fosse vero,

reale come il mondo senza mondo,

scaccia la vita chi la vita cerca,

dice fra sé senza nessun perchè,

poi biascica un pensiero e sputa in terra,

condisce il dubbio e lo ricaca fiero,

come fiero del tutto in cui si muove,

sfiorisce sereno come aspettando

quello che viene, dice, prima o poi,

mentre stacca dai piedi quella roba,

a bocca aperta, sollevando il cuore…

guarda i piedi di lei,

fatto di lei si sente, ora non guarda,

si vede come fatto d’altro,

ora è lei, già s’accarezza tutto,

come quando di cielo si sprofonda,

fatto di cielo, d’erba, odore e vento,

rincantucciato in universo e tutto,

si soffia l’aria e sva, svanisce piano,

nell’angolo di mondo, fatto tondo…

– io via, vo’ via,

per sempre, forse, me ne vado,

non mi vedrò che più non mi vedrete,

piomberò dove più, corse la luce

dove affonda il buio, il buio avanza

sfolgorante trattengo le parole,

per avere la vita trattenuta,

me ne vado cantando, sbaracco,

mi barocco suonato, istupidito,

svernato arrivo morso dal mio gelo,

e telo penepolato la tela,

la tesso ad infinito smemorando,

non ricordo più niente, cala il tempo,

dove tempo non v’è, non v’è più guerra,

filastrocca la sera se ne va,

fila la bocca nella sua trafila

di pensieri, d’opere e omissioni,

masticando d’amaro

già prima ogni ritorno d’ogni cosa,

d’ogni parola e cosa e resto avaro…-

così delira il vecchio, mentre piove

la notte cade come pioggia fine,

bagna mente, l’asciuga ad ogni dove,

si siede risgomento dove piove…

Giacomo Trinci 

(da Sul finire, con una nota di P. Maccari, Valigie rosse 2012. Con questa plaquette Trinci ha vinto il Premio Ciampi 2012)

Leggi il post correlato Trinci. Chi salverà Pinocchio?

I VOSTRI COMMENTI

Luigi Rosi

è un genio. è stata resa la vita in un fermo immagine. non può che essere un genio, sebbene sia poesia e non cinema

Virgilio

…a fare niente non gli è mai riuscito…….veramente Giacomo ci fai riflettere sui nostri limiti che forse sono la nostra salvezza. Paolo Marini

TeresaCiardi

“Day after day/alone on a hill/the man with the foolish grin is keeping perfectly still/but nobody wants to know him/they can see that he’s just a fool/and he never gives an answer/but the fool on the hill/sees the sun going down/and the eyes in his head/see the world spinning ‘round. Well on the way/head in a cloud/the man of a thousand voices talking perfectly loud/but nobody ever hears him/or the sound he appears to make/and he never seems to notice/but the fool on the hill/sees the sun going down/and the eyes in his head/see the world spinning ‘round.” (Lennon-McCartney, “The Fool On The Hill”)

IsoladiFederigo

Ci voleva un poeta della levatura di Trinci, dopo e con Pasolini, per mettere tutti d’accordo. Sì, Giacomo, sei il nostro “grido unanime”.

PIA

In una società che sembra fatta solo per i vincenti, i rampanti, sopraffatori, mummificati personaggi che non vogliono neanche invecchiare, fa da contraltare l’eroe “buono”, di sveviana memoria, che “sbaglia sempre / fallisce / ma non fallisce bene”, superbamente reso da Trinci.  Concordo con il parere di M. che ammira la “profonda (mai esagerata) culturalizzazione” dell’autore. Io, più che di “culturalizzazione”, constatando l’attenta cura al dettaglio nella scelta dei vocaboli per “pennellare” il “vecchio eroe”, la definirei cultura a tutto tondo dell’autore….

tristan51

Ma avete sentito come legge Trinci le sue poesie? Benissimo, come la Valduga le sue.

PietroPaoloTarasco

Sei sempre più bravo, Giacomo; i miei complimenti. Un abbraccio Pietro

stillafarota

Viva gli idioti! I diversi, gli emarginati, gli esclusi. Chi se ne sta da parte, e da quella parte ci guarda e ci vede meglio. Viva il principe Myskin, viva i matti vianeschi, i buffi palazzeschiani, gli inetti sveviani e gli offesi tozziani. E viva Trinci, che strizzando un occhio alla cultura e uno al suo quotidiano prende la penna e sulla carta li abbraccia tutti! Un saluto da una tua concittadina, caro Giacomo!

GiacomoTrinci

ringrazio tutti in versi da mandare all’aria!…  (prima voce, all’aria)/ amici, mi piace mandare all’aria i versi, la/ poesia,/ più nostra che mia,/ mi piace involarla per aria, disfarla, di tutti,/ d’anonima una musica si perde, non si nota,/ la nota si disperde come amore,/ come gentile d’atto di pietà, miei cari,/ come lieve quel suo battito di strali,/ ma tutto all’aria, rimandare, i voli,/ commenti all’aria, commentaria…

MarcoCapecchi

Mi piace pensare che l’inetto sia il nuovo eroe che antagonisticamente ci indica la via….

GiuliaBagnoli

Ricordo l’inizio di “Tabaccheria” (Pessoa): “Non sono niente. / Non sarò mai niente”. Qui: “non gli riesce niente / a fare niente non gli è mai riuscito”.

GiuliaBagnoli

“Solo noi malati sappiamo qualcosa di noi stessi” (Svevo, “La coscienza di Zeno”)

giulietta

Una condizione alienante quella dell’incapacità di vivere; una malattia da curare in una società che non ammette chi indugia sulla soglia. L’inetto, col suo rimuginare continuo, è vittima di stesso. Una poesia, quella di Trinci, che sembra una fotografia in bianco e nero dell’oggi. In bianco e nero, perché l’inetto non vede a pieno tutti i colori della vita; in bianco e nero, perché il male di vivere in fondo è cosa vecchia. Vicino a Svevo per il tema dell’inettitudine che accomuna tutte le opere sveviane; vicino a coloro che non si vedono (“fatto di lei si sente, ora non guarda, /  si vede come fatto d’altro”) e che non vediamo.

tristan51

Giusto, azzeccato il tandem all’insegna dell’inettitudine tra le poesie di Trinci da “Sul finire” e quelle dedicate a Svevo del video. Se giustizia imperasse o almeno vigesse nel mondo (anche in quello davvero secondario ma non del tutto inincidente dei critici letterari, che a loro modo decidono, pontificano, stilano annali e indirizzano il gusto), Giacomo Trinci dovrebbe essere considerato, non da ora, e senza se nè ma, uno in assoluto dei maggiori poeti italiani contemporanei. Il fatto è che Trinci non sa probabilmente scindere letteratura e vita, e questa prodigiosa, per altri aspetti felice e molto remunerativa incapacità inevitabilmente lo penalizza nella sua pubblica agnizione, che dovrebbe senz’altro essere ben più ampia e generalizzata, più rilevabile anche da parte dell’editoria a queste cose designata. Detto questo (forse anche per questo), bravissimo, come si esclama in uno dei commenti, non c’è dubbio.

IsoladiFederigo

Per un felice gioco delle parti la poesia di Trinci, che già abbiamo conosciuto formidabile lettore di Svevo, si riappropria fra trepidazione e sgomento della sveviana operosissima inettitudine. Dall’inciampo biografico della “Coscienza di Zeno” sui piedi di un aspirante poeta alla confusa ricerca di sé, alla conquista di questa altissima coscienza poetica genialmente “inattiva” prodiga con Trinci di versi straordinari. Bravissimo!

m

Il magistero formale e la profonda (mai esagerata) culturalizzazione si fanno in Giacomo Trinci, sorprendentemente ma davvero naturalmente, forma del pensiero. Di quel pensiero che, a sua volta, forma: plasma, crea, inventa. Così il poeta dà voce a quella dimensione del pensiero e del sentire umani che non si può rendere con gli usuali strumenti comunicativi o speculativi, ma ha bisogno di farsi interamente forma. Di questa completa combustione si intuisce l’impeto dionisiaco, che però è stato coraggiosamente disinnescato e ci appare “in minore”, gnoseologicamente dimesso, umanissimo…