La notte e gli inni. Novalis

VEDI I VIDEO “Inni alla Notte” I e II , “Hymnen an die Nacht” , Gli “Inni alla Notte” tradotti in inglese , … in francese , … e in spagnolo , Il primo “Inno alla Notte” secondo Alphons Diepenbrock Firenze, 5 maggio 2018 – Ricordando che il 2 maggio ricorreva l’anniversario della nascita di […]

VEDI I VIDEO “Inni alla Notte” I e II , “Hymnen an die Nacht” , Gli “Inni alla Notte” tradotti in inglese , … in francese , … e in spagnolo , Il primo “Inno alla Notte” secondo Alphons Diepenbrock

Firenze, 5 maggio 2018 – Ricordando che il 2 maggio ricorreva l’anniversario della nascita di Novalis, pseudonimo di Georg Friedrich Philipp Freiherr von Hardenberg (Schloss Oberwiederstedt, 2 maggio 1772).

Il primo Inno alla Notte

Qual mai vivente dotato di sensi

non ama,

sovra tutte le splendide apparenze

dello spazio che intorno gli dilaga,

la Luce giocondissima

con le sue tinte, i raggi, i flutti;

e con la dolce onnipresenza sua,

squillante giorno?

Come la più riposta

anima della Vita,

la respira il cosmo immane

delle insonni costellazioni

che nuotano danzando

in quell’azzurro oceano.

La respira la pietra, che brilla

in sua quiete eterna;

la pianta sensitiva, che risucchia;

il selvaggio focoso animale

d’innumerevoli forme.

Ma, sovra tutti,

il Viandante superbo:

gli occhi ricolmi di sensi profondi;

librati i passi leggieri;

dolcemente socchiuse le labbra

ricche di suoni.

Della Natura fulgida sovrana,

tutte costringe le forze terrestri

a trasmutarsi interminabilmente;

annoda e scioglie vincoli infiniti;

ogni creatura avvolge

nel suo divino ammanto.

La sua presenza sola,

svela (stupefacente meraviglia)

i reami del mondo.

Pure, io mi volgo altrove:

verso la santa inesprimibile

misteriosa Notte.

Giace lontano il mondo,

come sepolto in un profondo avello.

Squallida solitudine

vaneggia là dove prima splendeva.

Malinconia profonda

per le corde dell’anima mi vibra.

In gocce di rugiada

io voglio giú disciogliermi,

mescermi con la cenere!

Lontananze della memoria,

fervide brame della giovinezza,

sogni beati della dolce infanzia,

gioie fugaci e inutili speranze

della trascorsa vita,

vengono in veste grigia,

come labili nebbie vespertine

quando caduto è il sole.

In altri spazii, trapiantò la Luce

le sue tende gioiose.

E non ritornerà, dunque, piú mai

ai figli che l’aspettano

con innocente fede?

Ma che cosa zampilla, ora, repente

di sotto al cuore, in émpito presago,

ad inghiottir le brezze

della malinconia?

Prendi, a tua volta, gioia

dagli esseri terreni,

o tenebrosa Notte?

Che cosa celi mai sotto il tuo manto,

che sí mi giunge all’anima

con impeto invisibile?

Prezioso balsamo

un fascio di papaveri

dalle tua mani stilla.

Le gravi ali del cuore, in alto trai.

Una passione oscura, inesprimibile,

lo invade in ogni fibra.

Raggiante e spaurito,

un vólto grave io scorgo

che dolcemente pio su me si china,

per mostrarmi, fra riccioli conserti

in vaghi avvolgimenti multiformi,

la giovinezza della Madre vera.

Come infantile e grama,

ora, mi appar la Luce!

Come consolatore e benedetto,

l’addio del Giorno!

Solo perché la Notte ti sottrae

i fedeli adoranti,

tu seminasti per gli spazii immensi

le rifulgenti sfere,

ad annunciar l’onnipotenza tua,

(il tuo ritorno, o Luce!)

nell’ore in cui ti assenti.

Piú divini degli astri che lampeggiano

lassú nel cielo,

ne appaion gl’infiniti occhi interiori

che in noi la Notte ha schiusi.

Scrutano in piú remote lontananze

che non i piú pallenti astri remoti

di quelle schiere innumeri.

Senza l’ausilio di veruna luce,

esploran quelli

nel più profondo un’anima che ama;

e d’ebbrezza indicibile riempiono

un piú sublime spazio.

Divino premio,

la Regina dei mondi,

l’Annunziatrice delle sfere etèree,

custode eccelsa del divino Amore,

mi manda te, soave Amante,

o vago sole

della notturna tenebra.

Ed ora, io veglio:

ché tuo mi sento come sono mio.

Ecco: ritorni, Amata!

È sorto il regno della Notte; e l’anima

mi ritrabocca d’infinita ebbrezza.

Sparve per sempre dalla terra il giorno,

e  mia novellamente, ora, tu sei!

E se lo sguardo affondo

entro gli abissi del tuo sguardo buio,

altro non scorgo che beato Amore!

Sovra l’altare della Notte immensa,

cadiamo avvinti come in molle talamo.

Cade da noi l’involucro terreno:

e, fatta ardente dall’ardente amplesso,

brucia la pura vampa

dell’olocausto dolce.

Consuma nell’ardore dello Spirito

questo mio corpo, Amata,

a che, vanendo, in piú intimo amplesso

con Te mi mesca; e duri eternamente

la notte nuziale.

(traduzione di Vincenzo Errante)

Die erste Hymne an die Nacht

Welcher Lebendige,

Sinnbegabte,

liebt nicht vor allen

Wundererscheinungen

des verbreiteten Raums um ihn

das allerfreuliche Licht,

mit seinen Farben,

seinen Strahlen und Wogen;

seiner milden Allgegenwart

als weckender Tag.

Wie des Lebens

innerste Seele

atmet es der rastlosen Gestirne

Riesenwelt,

und schwimmt tanzend

in seiner blauen Flut,

atmet es

der funkelnde, ewigruhende Stein,

die sinnige, saugende Pflanze,

und das wilde, brennende,

vielgestaltete Tier.

Vor allen aber

der herrliche Fremdling

mit den sinnvollen Augen,

dem schwebenden Gange

und den zartgeschlossenen,

tonreichen Lippen.

Wie ein König

der irdischen Natur

ruft es jede Kraft

zu zahllosen Verwandlungen,

knüpft und löst

unendliche Bündnisse,

hängt sein himmlisches Bild

jedem irdischen Wesen um.

Seine Gegenwart allein

offenbart die Wunderherrlichkeit

der Reiche der Welt.

Abwärts wend ich mich

zu der heiligen, unaussprechlichen,

geheimnisvollen Nacht.

Fernab liegt die Welt,

in eine tiefe Gruft versenkt:

wüst und einsam ist die Stelle.

In den Saiten der Brust,

weht tiefe Wehmut.

Fernen der Erinnerung,

Wünsche der Jugend,

der Kindheit Träume,

des ganzen langen Lebens

kurze Freuden

und vergebliche Hoffnungen

kommen in grauen Kleidern,

wie Abendnebel

nach der Sonne

Untergang.

In andern Räumen

schlug die lustigen Gezelte

das Licht auf.

Sollte es nie zu seinen Kindern

wiederkommen,

die mit der Unschuld Glauben

seiner harren?

Was quillt auf einmal

so ahndungsvoll

unterm Herzen,

und verschluckt

der Wehmut weiche Luft?

Hast auch du

ein Gefallen an uns,

dunkle Nacht?

Was hältst du

unter deinem Mantel,

das mir unsichtbar kräftig

an die Seele geht?

Köstlicher Balsam

träuft aus deiner Hand,

aus dem Bündel Mohn.

Die schweren Flügel des Gemüts

hebst du empor.

Dunkel und unaussprechlich

fühlen wir uns bewegt.

Ein ernstes Antlitz

seh ich froh erschrocken,

das sanft und andachtsvoll

sich zu mir neigt,

und unter unendlich

verschlungenen Locken

der Mutter liebe Jugend zeigt.

Wie arm und kindisch

dünkt mir das Licht nun;

wie erfreulich und gesegnet

des Tages Abschied!

Also nur darum,

weil die Nacht dir

abwendig macht die Dienenden,

säetest du

in des Raumes Weiten

die leuchtenden Kugeln,

zu verkünden deine Allmacht,

deine Wiederkehr

in den Zeiten deiner Entfernung.

Himmlischer als jene blitzenden Sterne,

dünken uns die unendlichen Augen,

die die Nacht

in uns geöffnet.

Weiter sehn sie

als die blässesten

jener zahllosen Heere.

Unbedürftig des Lichts

durchschaun sie die Tiefen

eines liebenden Gemüts –

was einen höhern Raum

mit unsäglicher Wollust füllt.

Preis der Weltkönigin,

der hohen Verkündigerin

heiliger Welten,

der Pflegerin

seliger Liebe,

sie sendet mir dich,

zarte Geliebte,

liebliche Sonne der Nacht.

Num wach ich:

denn ich bin dein und mein.

Du kommst, Geliebte.

Die Nacht ist da.

Entzückt ist meine Seele.

Vorüber ist der irrdische Tag,

und du bist wieder mein.

Ich schaue dir ins tiefe dunkle Auge,

sehe nichts als Lieb und Seligkeit.

Wir sinken auf der Nacht Altar,

aufs weiche Lager.

Die Hülle fällt,

und angezündet von dem warmen Druck

entglüht des süssen Opfers

reine Glut.

Zehre mit Geisterglut

meinen Leib,

dass ich lustig mit dir

inniger mich mische

und dann ewig

die Brautnacht währt.

Novalis

(da Hymnen an die Nacht, 1800, e Inni alla notte, a cura di Vincenzo Errante, 1942)