La casa estrema di Giovanni Giudici

VEDI IL VIDEO Giovanni Giudici legge “Casa estrema” e parla di sé , “L’educazione cattolica” , “Raccomandazioni dall’area depressa” , “Andar di fuori il latte è un malestro” letta dall’autore Firenze, 26 giugno 2020 – Giovanni Giudici – nato a Le Grazie, Portovenere, in provincia di La Spezia, il 26 giugno 1924, scomparso sette anni fa –, resta presenza centrale, anche […]

VEDI IL VIDEO Giovanni Giudici legge “Casa estrema” e parla di sé , “L’educazione cattolica” , “Raccomandazioni dall’area depressa” , “Andar di fuori il latte è un malestro” letta dall’autore

Firenze, 26 giugno 2020 – Giovanni Giudici – nato a Le Grazie, Portovenere, in provincia di La Spezia, il 26 giugno 1924, scomparso sette anni fa –, resta presenza centrale, anche se non onorata e valorizzata come meriterebbe, della poesia italiana del secondo Novecento.

Torno a ricordarlo oggi, Giudici, così come lo incontrai (non solo per via cartacea, ma prima strettamente cartacea) negli anni Settanta, quando le raccolte d’annata segnalabili tra i poeti pressoché suoi coetanei erano – nel 1977 e tutte edite nella medesima collana mondadoriana dello «Specchio» – Marzo e le sue idi di Bartolo CattafiTransito con catene di Maria Luisa Spaziani e Sinopie del ticinese Giorgio Orelli.

L’occasione era fornita da Il male dei creditori, un libro che già definivo in quei lontani anni, senza incertezze, «notevolissimo»: un libro, mie parole di allora, «totalmente contemporaneo, a suo modo esemplare come pochi altri di un’idea stessa di poesia italiana ancora praticabile». La poesia era già a quel tempo, come correntemente si sosteneva, in crisi, ma Giudici dimostrava di attraversare quella crisi, rifacendosi all’esempio primonovecentesco – richiamato peraltro da uno dei suoi primi interpreti, Franco Fortini – di Gozzano e dei crepuscolari, per farne subito, però, non reperti archeologi in chiave culturalistica, ma elementi di confronto, tappe di un unico percorso intuito comune: umanamente comune.

Sta di fatto che con il suo quarto libro Giudici già mi appariva rivendicare a proprio merito la saldatura perfetta tra i modi dell’antieroico intimismo di sapore crepuscolare e quelli di una socialità allo scoperto, assestando così, ex novo, con originalità e prima ancora con assoluta necessità, i dissestati equilibri della sua evoluzione lirica. Con Il male dei creditori il poeta giungeva alla riconciliazione (anche stilistica) con la realtà che avvertiva tanto oppressiva e repressiva solo in rari e miracolosi momenti, mentre per il resto era ed espressivamente si dimostrava in rapporto di disperata resistenza.

Riappropriandosi di un timbro montaliano per suo conto storiograficamente proveniente dalle zone di un crepuscolarismo superato, Giudici poteva così già difendersi, interrogando senza infingimenti i fluttuanti decori del nostro vivere quotidiano:

Quale mai colpa è la mancanza di gloria nell’insetto?

E perché tenere a vile il sorriso dell’astante

Che appena scantonando si salva con la sua roba? (Animale antico).

Ma ancora, in riferimento a modelli familiari, genitoriali, riconducibili ad ambiti dal punto di vista psicologico circoscritti, protetti e protettivi:

Doctor Subtilis… Anche lui scriveva il nulla

Anche lui rinviava tutta la vita a domani.

Con quella prestidigitazione di segni

Anche lui remigava nel lieve vuoto impeccabile.

Fin quando le sue righe cominciarono a incurvarsi

Verso il finire dei margini a farsi incerti

La forbita sintassi a guastarsi.

Fino al delirio d’inchiostro e a indirizzi sbagliati. (La sua scrittura)

Marco Marchi

Casa estrema

Decrepita

Al primo scorgerla – eccola

Un lindore di muri adesso un lusso

Di legni e il sole

Quasi non oso guastarla in parole:

Lei che ho voluta e avuta al maggior costo

Per lei spogliato di tutto

Non decrepito io ma certo all’ultima rampa

Del discendere altro non ne aspetto

Che un lieve ricominciare:

Ti ho fatta bella – gli dico

E tu fammi più vero

Ogni cuore da sé tende al suo petto

Ritornante Thule del pensiero

Nuovi nel nuovo dove ricambiamo

Bisbigli di saluti

Poi che l’esser stranieri

Rende più riconosciuti

Aspettiamo una sobria confidenza

Dei vecchi essendo il privilegio il non durare

Che al passato dà indulgenza

Mai ebbi un abitare

Così librato senza un prima e un poi

Tra il verde in su del vento e il chiaro mare

Abbandonati tutti i vivi morti – 

O già futuro mite trafficare

Forme di questa casa

Vuoto di questi corpi

(da Quanto spera di campare Giovanni, Garzanti 1993)

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