Giorgio Caproni, la madre-ragazza e il figlio-fidanzato

VEDI I VIDEO Giorgio Caproni legge “Ultima preghiera” , Dai “Versi livornesi” ,  Parola e espressione , Un film su Caproni (trailer) Firenze, 7 gennaio 2015 – Ricordando che il 7 gennaio 1912 nasceva a Livorno Giorgio Caproni. Ha dichiarato, in margine ai bellissimi Versi livornesi che costituiscono la sezione fondamentale del Seme del piangere, Giorgio Caproni: «Tentar di […]

VEDI I VIDEO Giorgio Caproni legge “Ultima preghiera” , Dai “Versi livornesi”Parola e espressioneUn film su Caproni (trailer)

Firenze, 7 gennaio 2015 – Ricordando che il 7 gennaio 1912 nasceva a Livorno Giorgio Caproni.

Ha dichiarato, in margine ai bellissimi Versi livornesi che costituiscono la sezione fondamentale del Seme del piangere, Giorgio Caproni: «Tentar di far rivivere mia madre come ragazza, mi parve un modo, certo ingenuo, di risarcimen­to contro le molte sofferenze e contro la morte».

Ed ecco Il seme del piangere, la dantesca causa delle lacrime svelata conclusivamente in una poesia proprio così intitolata, attigua a quell’Ultima preghiera che qui, nel nome della madre, si propone alla lettura e all’ascolto.

Un bambino «debole come un cerino» in una città grande, immensa e sconfinata per lui, ha cercato per tutto il giorno «la mamma-più-bella-del-mondo», ed essa non c’è più, è via, si è separata da lui, l’ha lasciato. Il bambino piange «nel buio d’un portone», è il solo ad aspettare il passag­gio di Annina, a richiederlo in una città smisurata, irriconosci­bile, fatta di attese vuote: «Quanta Livorno, nera / d’acqua e – di panchina – bianca!»; «Via era la camicetta / timida e bianca, viva. / Nessuna cipria copriva / l’odore vuoto del mare / sui Fossi, e il suo sciacquare» (vv. 1-2, 17-21). Il poeta ha già scritto in A Giannino: «l’amore mio che stava ad aspettarmi / solo su una panchina» (vv. 3-4). Annina, intanto, è in un bar di stazione, anche lei confusa, incapace perfino di scrivere al figlio una car­tolina che dica, rasssicurandolo: «Caro, son qui» (Ad portam inferi, v. 30).

L’anima di Caproni, l’arte, è supplicata adesso di pedalare, di volare come Annina ciclista. Ora la fretta è la poesia. La polisemia del termine anima è garantita da una fonte sicuramente te­nuta presente, come testimoniano analogie tematiche (il moti­vo del temuto disviamento), puntuali rimbalzi lessicali {conge­do, va’, leggera), un impiego rimico soltanto rovesciato: «Deh, ballatetta alla tu’ amistate / quest’anima che trema raccoman­do: menala teco, ne la sua pietate, / a quella bella donna a cu’ ti mando». Si comincia con Dante e si finisce con Cavalcanti e ancora con Dante, se nel «dille» del v. 80 si rivela attivo il ricordo del canto VII del Paradiso, vv. 10-12: «Io dubitava, e dicea ‘Dille, dille!’ / fra me: ‘dille dicea, alla mia donna / che mi disseta con le dolci stille».

Ma è il momento, dopo tanto aspet­tare, di far arrossire Annina, di gettare la sigaretta che il poeta ha dato all’anima per farsi coraggio e avvicinarsi alla donna. Alla fine il messaggio sussurrato all’orecchio consiste nel dire soltanto da parte di chi è l’ambasciata: «suo figlio, il suo fidanzato».

Marco Marchi 

Ultima preghiera

Anima mia, fa’ in fretta.

Ti presto la bicicletta

ma corri. E con la gente

(ti prego, sii prudente)

non ti fermare a parlare

smettendo di pedalare.

Arriverai a Livorno

vedrai, prima di giorno.

Non ci sarà nessuno

ancora, ma uno

per uno guarda chi esce

da ogni portone, e aspetta

(mentre odora di pesce

e di notte il selciato)

la figurina netta,

nei buio, volta al mercato.

Io so che non potrà tardare

oltre quel primo albeggiare.

Pedala, vola. E bada

(un nulla potrebbe bastare)

di non lasciarti sviare

da un’altra, sulla stessa strada.

Livorno, come aggiorna,

col vento una torma

popola di ragazze

aperte come le sue piazze.

Ragazze grandi e vive

ma, attenta!, così sensitive

di reni (ragazze che hanno,

si dice, una dolcezza

tale nel petto, e tale

energia nella stretta)

che, se dovessi arrivare

col bianco vento che fanno,

so bene che andrebbe a finire

che ti lasceresti rapire.

Mia anima, non aspettare,

no, il loro apparire.

Faresti così fallire

con dolore il mio piano,

e io un’altra volta Annina,

di tutte la più mattutina,

vedrei anche a te sfuggita,

ahimè, come già alla vita.

Ricordati perché ti mando:

altro non ti raccomando.

Ricordati che ti dovrà apparire

prima di giorno, e spia

(giacché, non so più come

ho scordato il portone)

da un capo all’altro la via,

da Cors’Amedeo al Cisterone.

Porterà uno scialletto

nero, e una gonna verde.

Terrà stretto sul petto

il borsellino, e d’erbe

già sapendo e di mare

rinfrescato il mattino,

non ti potrai sbagliare

vedendola attraversare.

Seguila prudentemente,

allora, e con la mente

all’erta. E, circospetta,

buttata la sigaretta,

accostati a lei soltanto,

anima, quando il mio pianto

sentirai che di piombo

è diventato in fondo

al mio cuore lontano.

Anche se io, così vecchio,

non potrò darti mano,

tu mormorale all’orecchio

(più lieve del mio sospiro,

messole un braccio in giro

alla vita) in un soffio

ciò ch’io e il mio rimorso

pur parlassimo piano,

non le potremmo mai dire

senza vederla arrossire.

Dille chi ti ha mandato:

suo figlio, il suo fidanzato.

D’altro non ti richiedo.

Poi, va’ pure in congedo.

Giorgio Caproni 

(da Il seme del piangere, 1959)

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