Capodanno con sette poeti: Borges, Neruda, Montale, Bukowski, De Luca, Valeri e Bufalino

VEDI I VIDEO “Fine d’anno” di Jorge Luis Borges ,  “Ode al primo giorno dell’anno” di Pablo Neruda , “Oda al primer día del año” , “Il primo gennaio” di Eugenio Montale  , “Foglie di palma” di Charles Bukowski , “Palm Leaves” ,  “Prontuario per il brindisi di capodanno” di Erri De Luca ,  “Albero” di […]

VEDI I VIDEO “Fine d’anno” di Jorge Luis Borges“Ode al primo giorno dell’anno” di Pablo Neruda , “Oda al primer día del año”“Il primo gennaio” di Eugenio Montale  , “Foglie di palma” di Charles Bukowski , “Palm Leaves” “Prontuario per il brindisi di capodanno” di Erri De Luca ,  “Albero” di Diego Valeri , “Lettera di Capodanno” di Gesualdo Bufalino

Firenze, 1 gennaio 2021 AUGURI PER UN BUON 2021!

Fine d’anno

Né la minuzia simbolica

di sostituire un tre con un due

né quella metafora inutile

che convoca un attimo che muore e un altro che sorge

né il compimento di un processo astronomico

sconcertano e scavano

l’altopiano di questa notte

e ci obbligano ad attendere

i dodici e irreparabili rintocchi.

La causa vera

è il sospetto generale e confuso

dell’enigma del Tempo;

è lo stupore davanti al miracolo

che malgrado gli infiniti azzardi,

che malgrado siamo

le gocce del fiume di Eraclito,

perduri qualcosa in noi:

immobile.

Final del año

Ni el pormenor simbólico

de reemplazar un tres por un dos

ni esa metáfora baldía

que convoca un lapso que muere y otro que surge

ni el cumplimiento de un proceso astronómico

aturden y socavan

la altiplanicie de esta noche

y nos obligan a esperar

las doce irreparables campanadas.

La causa verdadera

es la sospecha general y borrosa

del enigma del Tiempo;

es el asombro ante el milagro

de que a despecho de infinitos azares,

de que a despecho de que somos

las gotas del río de Heráclito,

perdure algo en nosotros:

inmóvil.

Jorge Luis Borges

(da Fervore di Buenos Aires, 1923)

Ode al primo giorno dell’anno

Lo distinguiamo dagli altri

come se fosse un cavallino

diverso da tutti i cavalli.

Gli adorniamo la fronte

con un nastro,

gli posiamo sul collo sonagli colorati,

e a mezzanotte

lo andiamo a ricevere

come se fosse

un esploratore che scende da una stella.

Come il pane assomiglia

al pane di ieri,

come un anello a tutti gli anelli: i giorni

sbattono le palpebre

chiari, tintinnanti, fuggiaschi,

e si appoggiano nella notte oscura.

Vedo l’ultimo

giorno

di questo

anno

in una ferrovia, verso le piogge

del distante arcipelago violetto,

e l’uomo

della macchina,

complicata come un orologio del cielo,

che china gli occhi

all’infinito

modello delle rotaie,

alle brillanti manovelle,

ai veloci vincoli del fuoco.

Oh conduttore di treni

sboccati

verso stazioni

nere della notte.

Questa fine dell’anno

senza donna e senza figli,

non è uguale a quello di ieri, a quello di domani?

Dalle vie

e dai sentieri

il primo giorno, la prima aurora

di un anno che comincia,

ha lo stesso ossidato

colore di treno di ferro:

e salutano gli esseri della strada,

le vacche, i villaggi,

nel vapore dell’alba,

senza sapere che si tratta

della porta dell’anno,

di un giorno scosso da campane,

fiorito con piume e garofani.

La terra non lo sa: accoglierà questo giorno

dorato, grigio, celeste,

lo dispiegherà in colline

lo bagnerà con frecce

di trasparente pioggia

e poi lo avvolgerà

nell’ombra.

Eppure

piccola porta della speranza,

nuovo giorno dell’anno,

sebbene tu sia uguale agli altri

come i pani

a ogni altro pane,

ci prepariamo a viverti in altro modo,

ci prepariamo a mangiare, a fiorire,

a sperare.

Ti metteremo

come una torta

nella nostra vita,

ti infiammeremo

come un candelabro,

ti berremo

come un liquido topazio.

Giorno dell’anno nuovo,

giorno elettrico, fresco,

tutte le foglie escono verdi

dal tronco del tuo tempo.

Incoronaci

con acqua,

con gelsomini aperti,

con tutti gli aromi spiegati,

sì,

benché tu sia solo un giorno,

un povero giorno umano,

la tua aureola palpita

su tanti cuori stanchi

e sei,

oh giorno nuovo,

oh nuvola da venire,

pane mai visto,

torre permanente!

(traduzione di Alessandra Mazzucco)

Oda al primer día del año

Lo distinguimos

como

si fuera

un caballito

diferente de todos

los caballos.

Adornamos

su frente

con una cinta,

le ponemos

al cuello cascabeles colorados,

y a medianoche

vamos a recibirlo

como si fuera

explorador que baja de una estrella.

Como el pan se parece

al pan de ayer,

como un anillo a todos los anillos:

los días

parpadean

claros, tintineante, fugitivos,

y se recuestan en la noche oscura.

Veo el último

día

de este

año

en un ferrocarril, hacia las lluvias

del distante archipiélago morado,

y el hombre

de la máquina,

complicada como un reloj del cielo,

agachando los ojos

a la infinita

pauta de los rieles,

a las brillantes manivelas,

a los veloces vínculos del fuego.

Oh conductor de trenes

desbocados

hacia estaciones

negras de la noche.

este final

del año

sin mujer y sin hijos,

no es igual al de ayer, al de mañana?

Desde las vías

y las maestranzas

el primer día, la primera aurora

de un año que comienza,

tiene el mismo oxidado

color de tren de hierro:

y saludan

los seres del camino,

las vacas, las aldeas,

en el vapor del alba,

sin saber

que se trata

de la puerta del año,

de un día

sacudido

por campanas,

adornado con plumas y claveles,

La tierra

no lo

sabe:

recibirá

este día

dorado, gris, celeste,

lo extenderá en colinas,

lo mojará con

flechas

de

transparente

lluvia,

y luego

lo enrollará

en su tubo,

lo guardará en la sombra.

Así es, pero

pequeña

puerta de la esperanza,

nuevo día del año,

aunque seas igual

como los panes

a todo pan,

te vamos a vivir de otra manera,

te vamos a comer, a florecer,

a esperar.

Te pondremos

como una torta

en nuestra vida,

te encenderemos

como candelabro,

te beberemos

como

si fueras un topacio.

Día

del año

nuevo,

día eléctrico, fresco,

todas

las hojas salen verdes

del

tronco de tu tiempo.

Corónanos

con

agua,

con jazmines

abiertos,

con todos los aromas

desplegados,

sí,

aunque

sólo

seas

un día,

un pobre

día humano,

tu aureola

palpita

sobre tantos

cansados

corazones,

y eres,

oh día

nuevo,

oh nube venidera,

pan nunca visto,

torre

permanente!

Pablo Neruda 

(da Terzo libro delle odi, 1957)

Il primo gennaio

So che si può vivere

non esistendo,

emersi da una quinta o da un fondale,

da un fuori che non c’é se mai nessuno

l’ha veduto.

So che si può esistere

non vivendo,

con radici strappate da ogni vento

se anche non muove foglia e non un soffio increspa

l’acqua su cui s’affaccia il tuo salone.

So che non c’è magia

di filtro o d’infusione

che possano spiegare come di te s’azzuffino

dita e capelli, come il tuo riso esploda

nel suo ringraziamento

al minuscolo dio a cui t’affidi,

d’ora in ora diverso, e ne diffidi.

So che mai ti sei posta

il come – il dove – il perché,

pigramente indisposta

al disponibile,

distratta rassegnata al non importa,

al non so quando o quanto, assorta in un oscuro

germinale di larve e arborescenze.

So che quello che afferri,

oggetto o mano, penna o portacenere,

brucia e non se ne accorge,

né te n’avvedi tu animale innocente

inconsapevole

di essere un perno e uno sfacelo, un’ombra

e una sostanza, un raggio che si oscura.

So che si può vivere

nel fuochetto di paglia dell’emulazione

senza che dalla tua fronte dispaia il segno timbrato

da Chi volle tu fossi… e se ne pentì.

Ora

uscita sul terrazzo, annaffi i fiori, scuoti

lo scheletro dell’albero di Natale,

ti accompagna in sordina il mangianastri,

torni dentro, allo specchio ti dispiaci,

ti getti a terra, con lo straccio scrosti

dal pavimento le orme degli intrusi.

Erano tanti e il più impresentabile

di tutti perché gli altri almeno parlano

io, a bocca chiusa.

 Eugenio Montale

(da Satura, 1971)

Foglie di palma

A mezzanotte in punto

1973-74

Los Angeles

ha cominciato a piovere sulle

foglie di palma fuori dalla mia finestra

i clacson e i fuochi d’artificio

erano svaniti

e tuonava.

ero andato a letto alle 21.00

spente le luci

tirate su le coperte –

la loro letizia, la loro felicità,

le loro urla, i loro cappelli di carta,

le loro automobili, le loro donne,

i loro ubriachi dilettanti…

la notte di Capodanno mi atterrisce

sempre

la vita non sa nulla degli anni.

adesso i clacson si sono ammutoliti

e i fuochi d’artificio e i tuoni…

tutto è finito in cinque minuti…

odo soltanto la pioggia

sulle foglie di palma,

e penso:

non capirò mai gli uomini,

ma è andata

anche questa.

(traduzione di Natale Fioretto)

Palm Leaves

at exactly 12:00 midnight

1973-74

Los Angeles

it began to rain on the

palm leaves outside my window

the horns and firecrackers

went off

and it thundered. 

I’d gone to bed at 9 p.m.

turned out the lights

pulled up the covers –

their gaiety, their happiness,

their screams, their paper hats,

their automobiles, their women,

their amateur drunks… 

New Year’s Eve always terrifies me 

 life knows nothing of years.

now the horns have stopped and

the firecrackers and the thunder…

it’s all over in five minutes…

all I hear is the rain

on the palm leaves,

and I think,

I will never understand men,

but I have lived

it through.

Charles Bukowski

(da Urla dal balcone )

Prontuario per il brindisi di capodanno

Bevo a chi è di turno, in treno, in ospedale,

cucina, albergo, radio, fonderia,

in mare, su un aereo, in autostrada,

a chi scavalca questa notte senza un saluto,

bevo alla luna prossima, alla ragazza incinta,

a chi fa una promessa, a chi l’ha mantenuta,

a chi ha pagato il conto, a chi lo sta pagando,

a chi non è invitato in nessun posto,

allo straniero che impara l’italiano,

a chi studia la musica, a chi sa ballare il tango,

a chi si è alzato per cedere il posto,

a chi non si può alzare, a chi arrossisce,

a chi legge Dickens, a chi piange al cinema,

a chi protegge i boschi, a chi spegne un incendio,

a chi ha perduto tutto e ricomincia,

all’astemio che fa uno sforzo di condivisione,

a chi è nessuno per la persona amata,

a chi subisce scherzi e per reazione un giorno sarà eroe,

a chi scorda l’offesa, a chi sorride in fotografia,

a chi va a piedi, a chi sa andare scalzo,

a chi restituisce da quello che ha avuto,

a chi non capisce le barzellette,

all’ultimo insulto che sia l’ultimo,

ai pareggi, alle ics della schedina,

a chi fa un passo avanti e così disfa la riga,

a chi vuol farlo e poi non ce la fa,

infine bevo a chi ha diritto a un brindisi stasera

e tra questi non ha trovato il suo.

Erri De Luca
(da L’ospite incallito, 2008)

Augurio di Capodanno

Io credo all’uccellino batticoda:

che ci porti il buon anno.

Scorre liscio su l’umido tappeto

di bruni muschi, alla soglia del mare,

sosta un tratto a beccare, e poi di nuovo

scivola via come una spola, vola,

sparisce in cielo. Neppur ci ha guardati.

Ma è bello, affusolato, grigio e bianco:

porta, certo, il buon anno.

Diego Valeri

Lettera di Capodanno

Dicono che repetita iuvant;

che il primo bacio è insipido, ma è il secondo che conta;

che il bis d’un minuto radioso

s’insaporisce d’un miele che ci sfuggì quella sera …

Ma l’anno che ritorna col suo rauco olifante

a soffiarci dentro le orecchie

l’ennesima Roncisvalle,

e ingrossa i fiumi, impoverisce gli alberi;

l’anno che nello specchio del bagno consegna

a uno svogliato rasoio la barba sempre più bianca;

l’anno che cresce su sé con l’ingordigia dei numeri,

sgranando sul calendario

il recidivo blues del Mai più …

chi oserebbe dire che meriti la festa del Benvenuto?

chi potrebbe giurare che non sia peggio degli altri?

Il male si moltiplica e repetita non iuvant.

Eppure … Eppure nella tombola arcana del Possibile

fra i dadi e il caso la partita è aperta;

gonfiano fiori insoliti il grembo d’una zolla;

lune mai viste inonderanno il cielo,

due ragazzi in un giardino

si scambieranno i telefoni, i nomi,

stupiti di chiamarsi Adamo ed Eva;

verrà sotto i balconi

un cieco venditore d’almanacchi

a persuaderci di vivere …

Crediamogli un’ultima volta.

Gesualdo Bufalino

(da Tommaso e il fotografo cieco ovvero Il Patatràc, 1996)

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