Buon compleanno, Manzoni!

VEDI I VIDEO “Dio gli accecò, Dio mi guidò”. Vittorio Gassman legge da “Adelchi” ,  “Marzo 1821” letta da Giancarlo Giannini , “Il cinque maggio” letta da Vittorio Gassman , L’ “Addio ai monti” da “I promessi sposi” di Salvatore Nocita (1989) , “Adelchi” secondo Carmelo Bene Firenze, 7 marzo 2020 – Ricordando che il […]

VEDI I VIDEO “Dio gli accecò, Dio mi guidò”. Vittorio Gassman legge da “Adelchi” ,  “Marzo 1821” letta da Giancarlo Giannini , “Il cinque maggio” letta da Vittorio Gassman , L’ “Addio ai monti” da “I promessi sposi” di Salvatore Nocita (1989) , “Adelchi” secondo Carmelo Bene

Firenze, 7 marzo 2020 – Ricordando che il 7 marzo 1785 nasceva a Milano Alessandro Manzoni.

da “Adelchi”

Dio gli accecò, Dio mi guidò. Dal campo

inosservato uscii; l’orme ripresi

poco innanzi calcate; indi alla manca

piegai verso aquilone, e abbandonando

i battuti sentieri, in un’angusta

oscura valle m’internai: ma quanto

più il passo procedea, tanto allo sguardo

più spaziosa ella si fea. Qui scorsi

gregge erranti e tuguri: era codesta

l’ultima stanza de’ mortali. Entrai

presso un pastor, chiesi l’ospizio, e sovra

lanose pelli riposai la notte.

Sorto all’aurora, al buon pastor la via

addimandai di Francia. – Oltre quei monti

sono altri monti, ei disse, ed altri ancora;

e lontano lontan Francia; ma via

non avvi; e mille son que’ monti, e tutti

erti, nudi, tremendi, inabitati,

se non da spirti, ed uom mortal giammai

non li varcò. – Le vie di Dio son molte,

più assai di quelle del mortal, risposi;

e Dio mi manda. – E Dio ti scorga, ei disse:

indi, tra i pani che teneva in serbo,

tanti pigliò di quanti un pellegrino

puote andar carco; e, in rude sacco avvolti,

ne gravò le mie spalle: il guiderdone

io gli pregai dal cielo, e in via mi posi.

Giunsi in capo alla valle, un giogo ascesi,

e in Dio fidando, lo varcai. Qui nulla

traccia d’uomo apparia; solo foreste

d’intatti abeti, ignoti fiumi, e valli

senza sentier: tutto tacea; null’altro

che i miei passi io sentiva, e ad ora ad ora

lo scrosciar dei torrenti, o l’improvviso

stridir del falco, o l’aquila, dall’erto

nido spiccata sul mattin, rombando

passar sovra il mio capo, o, sul meriggio,

tocchi dal sole, crepitar del pino

silvestre i coni. Andai così tre giorni;

e sotto l’alte piante, o ne’ burroni

posai tre notti. Era mia guida il sole;

io sorgeva con esso, e il suo viaggio

seguia, rivolto al suo tramonto. Incerto

pur del cammino io gìa, di valle in valle

trapassando mai sempre; o se talvolta

d’accessibil pendio sorgermi innanzi

vedeva un giogo, e n’attingea la cima,

altre più eccelse cime, innanzi, intorno

sovrastavanmi ancora; altre, di neve

da sommo ad imo biancheggianti, e quasi

ripidi, acuti padiglioni, al suolo

confitti; altre ferrigne, erette a guisa

di mura, insuperabili. – Cadeva

il terzo sol quando un gran monte io scersi,

che sovra gli altri ergea la fronte, ed era

tutto una verde china, e la sua vetta

coronata di piante. A quella parte

tosto il passo io rivolsi. – Era la costa

oriental di questo monte istesso,

a cui, di contro al sol cadente, il tuo

campo s’appoggia, o sire. – In su le falde

mi colsero le tenebre: le secche

lubriche spoglie degli abeti, ond’era

il suol gremito, mi fur letto, e sponda

gli antichissimi tronchi. Una ridente

speranza, all’alba, risvegliommi; e pieno

di novello vigor la costa ascesi.

Appena il sommo ne toccai, l’orecchio

mi percosse un ronzio che di lontano

parea venir, cupo, incessante; io stetti,

ed immoto ascoltai. Non eran l’acque

rotte fra i sassi in giù; non era il vento

che investia le foreste, e, sibilando

d’una in altra scorrea, ma veramente

un rumor di viventi, un indistinto

suon di favelle e d’opre e di pedate

brulicanti da lungi, un agitarsi

d’uomini immenso. Il cor balzommi; e il passo

accelerai. Su questa, o re, che a noi

sembra di qui lunga ed acuta cima

fendere il ciel, quasi affilata scure,

giace un’ampia pianura, e d’erbe è folta

non mai calcate in pria. Presi di quella

il più breve tragitto: ad ogni istante

si fea il rumor più presso: divorai

l’estrema via; giunsi sull’orlo: il guardo

lanciai giù nella valle, e vidi… oh! vidi

le tende d’Israello, i sospirati

padiglion di Giacobbe: al suol prostrato,

Dio ringraziai, li benedissi, e scesi.

Alessandro Manzoni

(da Adelchi, scena III, atto II)

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