Il socio occulto

NON È il modello Polonia a essere guasto, è quello italiano. Ogni crisi aziendale fa storia a sé per origini ed esiti, ma il caso Electrolux inchioda al muro la politica delle chiacchiere di quanti da decenni promettono vanamente la riduzione delle tasse su lavoro e imprese. La multinazionale sostiene di non poter reggere la […]

NON È il modello Polonia a essere guasto, è quello italiano. Ogni crisi aziendale fa storia a sé per origini ed esiti, ma il caso Electrolux inchioda al muro la politica delle chiacchiere di quanti da decenni promettono vanamente la riduzione delle tasse su lavoro e imprese. La multinazionale sostiene di non poter reggere la concorrenza e il costo di tutti i posti se non abbassando il costo del lavoro. Sulle prime si è parlato di una retribuzione dimezzata per gli operai. Ieri l’azienda ha precisato che si tratterebbe di sacrifici molto meno pesanti. Vedremo come andrà a finire, le trattative sono in corso, i lavoratori sono giustamente preoccupati, il governo ha latitato fino a giungere all’emergenza. Ma il punto è che il costo del lavoro si può ridurre senza toccare i soldi in busta paga, ma tagliando la ’retribuzione’ al socio occulto di ogni impresa italiana: lo Stato. Quel socio che costringe un dipendente a percepire quasi la metà di quel che il datore di lavoro paga. La domanda alla quale rispondere, allora, diventa questa: quale livello di tassazione sul lavoro permetterebbe all’operaio di mantenere il posto e la retribuzione intatta e a Electrolux di restare competitiva? Quale livello di cuneo fiscale in generale, consentirebbe a imprese e famiglie di stare meglio?

Una domanda che ieri, a vertenza calda, si è posto Giulio Zanella, economista dell’Università di Bologna, sul blog ’Noise from Amerika’. Facendo due conti, per quanto approssimativi il risultato — senza entrare nei dettagli — è un cuneo fiscale attorno al 25% contro quel 45% misurato ufficialmente sui bassi redditi da Eurostat. Ovvero, se lo Stato prelevasse solo il 20-25% dalla retribuzione lorda, aziende come la Electrolux non avrebbero bisogno di tagliare posti e stipendi per rimanere concorrenziali. Impossibile? I dati di Eurostat rispondono di no. Il 25% è un livello di tassazione sul lavoro superiore, sempre secondo Eurostat, al cuneo fiscale in Portogallo e Irlanda. E non di molto inferiore alle tasse sul lavoro nel Regno Unito dove — spiega Zanella — «i percettori di bassi redditi come l’operaio di cui stiamo parlando non scontano la minore pressione fiscale con assenza di servizi sociali come la sanità o la scuola pubblica. Evidentemente si può fare». Due le obiezioni prevedibili. La prima: come fa la Germania a permettersi un livello di tassazione superiore al nostro? Lì hanno una produttività del lavoro superiore a quella italiana e il peso fiscale sulle imprese è più basso perché distribuito diversamente tra aziende e dipendenti. E un sistema che il socialdemocratico Schroeder rivoltò come un calzino, perdendo le elezioni e lasciando ad Angela Merkel un paese da corsa. Non è un caso se uno stipendio netto italiano è circa la metà di uno stipendio tedesco. Non è un caso neppure che Hollande abbia contattato l’uomo delle riforme di Schroeder, l’ex manager Volkswagen Peter Hartz, per rimediare alla drammatica situazione sociale francese. Seconda domanda: dove trovare i soldi per ridurre il cuneo fiscale? Stiamo parlando di redditi bassi, sarebbe una cifra importante, probabilmente, ma non impossibile. Specie se il taglio della spesa pubblica superflua fosse seria e lo Stato rinunciasse a mestieri che non gli competono — come l’imprenditore nelle partecipate — e che non sa fare. Augurandosi che il caso Electrolux si risolva al meglio, rimane il problema di un sistema politico che si muove solo in emergenza. Capace, avendo l’acqua alla gola, solo di trovare nuove tasse. Renzi e Berlusconi dovrebbero dimostrare di essere tanto decisi a tagliare il cuneo fiscale, quanto lo sono stati sulla legge elettorale. Non domani, adesso.

 

Pubblicato su Qn mercoledi 30 gennaio 2014