Perchè Aylan non si deve censurare

La pubblicazione della foto di Aylan Kurdi, il bambino di tre anni morto con il fratello Galip, 5 anni, e altre 12 persone mentre dalla Turchia cercava di raggiungere un’isola greca è un cazzotto nello stomaco. Terribile.E’ così forte che ha bucato gli schermi. Si è diffusa viralmente su internet. Si è imposta sulle prime […]

La pubblicazione della foto di Aylan Kurdi, il bambino di tre anni morto con il fratello Galip, 5 anni, e altre 12 persone mentre dalla Turchia cercava di raggiungere un’isola greca è un cazzotto nello stomaco. Terribile.E’ così forte che ha bucato gli schermi. Si è diffusa viralmente su internet. Si è imposta sulle prime pagine di molti giornali. Il mio giornale, e ne sono orgoglioso, l’ha messa in prima. Ma altri,  molti altri, si sono rifiutati di pubblicarla. A mio avviso sbagliando. Compito del giornalismo non è autocensurarsi, ma raccontare la realtà per come è. Anche e soprattutto se terribile. Spetta al lettore decidere. Gli utenti di internet, i lettori, i telespettatori, non vanno trattati come bambini si quali somministrare una realtà edulcorata. Il compito della mediazione giornalistica non è confezionare una verità filtrata a dovere, accettabile al gusto e alla morale del tempo, ma fornire una immagine il più possibile realistica. Senza forzature o compiacimenti ma anche senza autocensure.

Le fotografie, fotografie dure, spesso impietose  _ da quelle degli orrori del Vietnam a quelle delle torture nella prigione di Abu Garaib _ hanno spesso saputo smuovere l’opinione pubblica. E menomale. Seguendo la logica degli autocensuratori dei nostri tempi non avremmo dovuto pubblicare le foto scattate dei russi _ foto di cataste di morti, anche _ dopo il loro ingresso nei lager nazisti: e così facendo l’Olocausto sarebbe sembrato un pò meno orribile, un pò meno vero. E’ questo che rischiamo nascondendo lo sporco sotto il tappeto. Che l’orrore non ci appaia in tutta la sua dimensione. Questo vale anche per le tragedie legate all’ondata migratoria, figlia in parte della interminabile guerra civile in Siria così come della guerra sbagliata in Iraq, della disastrosa gestione dell’intervento in Afghanistan, dell’aver abbandonato l’Africa alla parte peggiore di se stessa dopo averla sfruttata quanto possibile. Per Ayalan, perchè la sua inutile e assurda morte non si disperda nel nulla senza seminare le nostre coscienze e spingerle a non accettare l’ignavia come se fosse una condizione ineluttabile, quella foto va pubblicata. Quello è il risultato dei nostri errori, assumiamocene la responsabilità sopportando questo orrore e cercando in esso la forza e le ragioni per chiedere alla comunità internazionale una politica diversa, in Siria e non solo, ed evitare che altri profughi debbano finire così.

migranti migrazioni curdi immigrazione giornalismo siria