Clima, a Katowice un accordo inadeguato

Alessandro Farruggia 16 dicembre 2018 _ E infine un accordo alla Cop24 è stato trovato. Al sabato, prolungando le trattave, come da tradizione. Peccato che l’accordo sia incompleto e assolutamente inadeguato a far fronte alle necessità poste dal cambiamento climatico, che sfortunatamente non ha la cortesia di attendere che i Paesi trovino un accordo […]

 

Alessandro Farruggia

16 dicembre 2018 _ E infine un accordo alla Cop24 è stato trovato. Al sabato, prolungando le trattave, come da tradizione. Peccato che l’accordo sia incompleto e assolutamente inadeguato a far fronte alle necessità poste dal cambiamento climatico, che sfortunatamente non ha la cortesia di attendere che i Paesi trovino un accordo per mostrare i suoi effetti.

A Katovice le parti della convvenzone sui cambiamenti climatici hanno raggiunto un compromesso su un complesso singole set di regole _ il cosiddetto “rulebook” _ per governare l’attuazione del Protocollo di Parigi del 2015. Qui le decisioni assunte.

Le regole determineranno un quadro comune e vincolante nell’ambito del Protocollo di Parigi e prevedono tra l’altro il superamento della distinzione tra paesi sviluppati e non, pur ribadendo responsabilità comuni ma differenziate. Ma l’accordo non è stato trovato (determinante il “no” del Brasile oggi governato dal negazionista Bolsonaro) su alcuni punti chiave come il mercato globale delle emissioni di carbonio, per il quale la trattativa proseguirà alla prossima conferenza, il prossimo novembre in Cile. A restare cruciale anche e soprattutto la questione degli NDCs (nationally determines contributions), gli impegni volontari di riduzione delle emissioni previsti dall’accordo di Parigi. Oggi sono larghamente inadeguati e potrebbero ad un riscaldamento attorno ai 3 gradi, ma il termine per adeguarli sempre su base volontaria e quindi senza sanzioni per gli inadempienti resta fissato al 2020, con aggiornamento ogni 5 anni. “La conferenza _ dice uno dei testi adottati dalla COP24 _ sottolinea l’urenza di una maggiore ambizione per assicurare i livello più alto d riduzione delle emisioni di adattamento”, ma non va oltre questo: una mera, generica sollecitazione. “Tutto il testo decisionale del mondo non taglia una molecola di carbonio. Hai bisogno di azione sul terreno” osserva Alden Meyer, direttore politiche e straegie della Union of Concerned Scientists. E infatti. Per capire quanto su questo le regole sugli NDCs siano inadeguate basti ricordare che la conferenza ha introdotto l’obbligo di fornire NDCs con arco temporale comune (il minimo per poterli confrontare facilmente) solo entro il…2031. Quando i giochi saranno già ampiamente fatti.

Ancora ampiamente irrisolta è poi la questione dei finanziamenti per i PVS, i paesi in via di sviluppo. Alla COP di Copenaghen, nel 2009, i paesi sviluppati si erano impegnati ad un finanziamento di 100 miliardi di dollari, che dovevano diventare 100 miliardi all’anno dal 2020. L’impegno è stato largamente inattuato (pur se il fondo per l’adattamento ha raggiunto i 129 miliardi di dollari) e ora la COP24 “esorta vivamente i paesi sviluppati ad aumentare il loro impegno finanziario per ottenere l’obiettivo comune di mobilitare 100 miliardi di dollari alll’anno dal 2020 per mitigazione e adattamento”. Esorta. E al tempo stesso decide che _ vista la mancanza di accordo _  solo nella conferenza del 2020 si delibererà (forse) un obiettivo globale di 100 miliardi all’anno per mitigazione ed adattamento dei paesi in via di sviluppo. Altri due anni persi.

Anche Stati Uniti, Russia, Arabia Saudita e Kuwait hanno svolto un ruolo distruttivo, annacquando una risoluzione che avrebbe accolto con favore il recentissimo rapporto dell’IPCC secondo cui un aumento della temperatura di 1,5°C avrebbe conseguenze disastrose. Il compromesso nel testo riformulato afferma che tutti i paesi “accolgono con favore il tempestivo completamento” del rapporto dell’IPCC, e invita le parti “a farne buon uso”, ma è un testo debole e furbetto perché si riferisce semplicemente alla tempistica del rapporto piuttosto che al suo contenuto. Ma gli esempi degli egoismi nazionali sono parecchi. Come già in altre confrenze sul clima, anche la Turchia ha reso complicati i negoziati. Ankara rifiuta infatti di essere classificata nella lista dei paesi sviluppati dell’Unfccc, la Convenzione Quadro delle Nazioni Uniti sui Cambiamenti Climatici, perché ciò le impedirebbe di accedere ad una serie di aiuti finanziari. Come sempre ognuno ha seguito a sua agenda e i suoi interessi di bottega più che pensare al bene comune.

Il capo delle Nazioni Unite per il clima, Patricia Espinosa, ha invece avuto toni trionfalistici: “Questo è un risultato eccellente! Il sistema multilaterale ha prodotto un risultato solido. Questa è una tabella di marcia per la comunità internazionale per affrontare con decisione i cambiamenti climatici. Le linee guida che le delegazioni hanno lavorato giorno e notte sono equilibrate e riflettono chiaramente la distribuzione delle responsabilità tra le nazioni del mondo. Considerano il fatto che i paesi hanno capacità diverse e realtà economiche e sociali, fornendo al tempo stesso le basi per un’ambizione sempre più crescente”. “Il sistema è in larga parte operativo pur se alcuni dettagli dovranno essere completati e migliorati nel tempo”. E’ il caso dei meccanismi di mercato _ leggi il mercato glovbale delle emissioni _ con i quali i paesi potrebbo soddisfare altrove una parte dei propri obblighi nazionali di mitigazione. “Fin dall’inizio della COP _ ha ammesso Espinosa _ è apparso ben presto chiaro che si trattava di un settore che richiedeva ancora molto lavoro e che i dettagli per rendere operativa questa parte dell’accordo di Parigi non erano stati ancora sufficientemente esplorati. Dopo molti scambi ricchi e discussioni costruttive, la maggior parte dei paesi si è dichiarata disposta ad accordarsi e ad includere nel pacchetto globale le linee guida per rendere operativi i meccanismi di mercato, ma purtroppo, alla fine, non è stato possibile superare le differenze”. Si è visto.

“COP 24 _ osserva il fisico Vincenzo Ferrara ex focal point italiano dell’IPCC _ è terminata con chiarezza, almeno su alcuni dei principali elementi costitutivi, per permettere all’accordo di Parigi di essere attuato. Si può dire che l’accordo finale sul “rulebook” è una buona base di partenza per i paesi che intendono attuare l’accordo di Parigi. Il “rulebook” ha ancora bisogno di eliminare alcune lacune come quella del mercato delle emissioni e quelle delle questioni finanziarie. Tuttavia, stabilisce la direzione del percorso da seguire. Ora i Paesi devono davvero impegnarsi aumentando i loro NDC perché il tempo disponibile per contrastare efficacemente i cambiamenti del clima e per prevenire adeguatamente le conseguenze negative ed i danni dei cambiamenti climatici, è praticamente finito”.

Xie Zhenhua, responsabile per il clima in Cina e architetto dell’accordo di Parigi, a Katovice era ben soddisfatto. “Il cambiamento climatico _ ha detto _ è la più grande sfida dell’umanità, di fronte alla quale nessun paese è risparmiato e i destini sono condivisi.  L’accordo è una vittoria del multilateralismo“. “Abbiamo un regolamento e finalmente l’accordo di Parigi è completo _ha osservato Ola Elvestuen, ministro dell’ambiente norvegese _ . Tuttavia la parte più difficile, ridurre le emissioni effettive, è ancora di là da venire. Abbiamo il sistema, ma il lavoro difficile inizia ora”. L’Unione Europea ha oggettivamente svolto un ruolo positivo, e se ne accontenta. “Credo che il pacchetto sia abbastanza chiaro da rendere operativo l’accordo di Parigi, e questa è una buona notizia”, ha detto il ministro dell’ambiente spagnolo Teresa Ribera. Ma anche in Europa l’ipocrisia non manca.  “Saluto con favore l’accordo ottenuto alla Cop24 di Katowice. La comunità internazionale resta impegnata nella lotta al cambiamento climatico. Complimenti all’Onu, agli scienziati, alle ong e a tutti i negoziatori. La Francia e l’Europa devono mostrare la via. La lotta prosegue” ha scritto su Twitter il presidente francese, Emmanuel Macron, un messaggio abbastanza paradossale dopo che lui stesso ha fatto marcia indietro su misure anti-inquinamento, come l’aumento delle tasse sui carburanti, a causa delle proteste dei “gilet gialli”.

Se questo è il contesto, le organizzazione ambientaliste, che avevano salutato con grande favore un accordo pur strutturalmente debole come quello di Parigi, ora si rendono progressivamente conto che dietro le parole c’è ancora poco di concreto.

Greenpeace riconosce i passi in avanti ma è globalmente molto critica. “Se Parigi ha dettato la strada _ osserva Li Shuo di Greenpeace East Asia _ il rulebook adottato da questa Cop è la tabella di marcia per arrivarci. Ora disponiamo di una guida con regole comuni vincolanti per la trasparenza e la revisione degli obiettivi, utili per garantire che le azioni sul clima possano essere confrontate e per tener conto delle preoccupazioni dei Paesi vulnerabili. Completare il regolamento non solo dimostra la volontà delle grandi economie emergenti di fare di più, ma fornisce un palese sostegno al multilateralismo. Un segnale chiaro che definire regole comuni è ancora possibile nonostante la turbolenta situazione geopolitica. Queste regole forniscono ora una spina dorsale all’accordo di Parigi”. Ma aver stabilito un set di regole non significa di per sè azioni, è solo un quadro nel quale, eventualmente, attuarle. “Nonostante solo due mesi fa l’IPCC, il panel intergovernativo sui cambiamenti climatici, abbia lanciato un chiaro allarme, affermando che restano a disposizione solo dodici anni per salvare il clima del Pianeta _ osserva Greenpeace _  la Cop24 si è conclusa senza nessun chiaro impegno a migliorare le azioni da intraprendere contro i cambiamenti climatici“. “Un anno di disastri climatici e il terribile monito lanciato dai migliori climatologi dovevano condurre a risultati molto più incisivi“, afferma Jennifer Morgan, direttrice esecutiva di Greenpeace International. “Invece i governi hanno deluso i cittadini e ignorato la scienza e i rischi che corrono le popolazioni più vulnerabili. Riconoscere l’urgenza di un aumento delle ambizioni, e adottare una serie di regole per l’azione per il clima, non è neanche lontanamente sufficiente quando intere nazioni rischiano di sparire”. “Senza un’azione immediata, anche le regole più forti non ci porteranno da nessuna parte _ continua Morgan _ Le persone si aspettavano azioni concrete da questa Cop24, ma non è quello che emerge da quanto hanno deciso i governi. Ciò è moralmente inaccettabile e ora i leader globali dovranno farsi carico dell’indignazione delle persone e presentarsi al summit del Segretario generale delle Nazioni Unite, nel 2019, con obiettivi più ambiziosi sul clima”.

I governi non hanno risposto con la volontà politica di affrontare l’urgenza della crisi climatica come sollecitato recentemente dalla scienza». Così in una nota il Climate Action Network (Can) che raggruppa oltre 1.300 ong in 120 Paesi del mondo puntando l’indice contro “gli Stati Uniti e una manciata di nazioni canaglia come l’Arabia Saudita che hanno cercato di interrompere il processo, ma troppi paesi sono venuti impreparati alla Cop24 e hanno scelto di rimanere ai margini. I paesi devono sostenere il peso delle loro decisioni e riconoscere la loro mancanza di leadership per sostenere i paesi più vulnerabili, che si sono impegnati a raggiungere obiettivi climatici più forti entro il 2020”. “La presenza prepotente dell’industria dei combustibili fossili combinata con una debole presidenza polacca ha gettato un’ombra su questi negoziati _ prosegue Can _ facendo sì che non si stabilissero regole per i mercati del carbonio dopo il 2020”. “Anche i requisiti contabili più basilari ed essenziali non sono stati concordati, come evitare il doppio conteggio delle riduzioni delle emissioni” e quindi si è deciso di rinviare l’intera serie di norme relative all’articolo 6 dell’Accordo di Parigi alla Cop25. I paesi sviluppati sono poi “ancora largamente liberi di decidere come finanziare per raggiungere l’obiettivo di 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020”. Mentre questi colloqui hanno visto stanziamenti finanziari al Fondo verde per il clima (GCF), al Fondo Paesi meno sviluppati – e per la prima volta gli impegni del Fondo di adattamento hanno superato la soglia dei 100 milioni di dollari – “le nazioni ricche devono offrire più ampi finanziamenti che infonderanno fiducia nei paesi in via di sviluppo per attuare i piani climatici nazionali”. “La conferenza sul clima di Katowice si e’ conclusa senza una chiara e forte risposta dei governi all’urgenza della crisi climatica, evidenziata dal recente rapporto dell’Ipcc sintetizza e’ il presidente nazionale di Legambiente, Stefano Ciafani.

Meno critico il Wwf , che accoglie con favore i progressi verso l’adozione di un “Libro delle regole” per rendere operativo l’accordo di Parigi, e anche i segnali di volonta’ di aumentare le ambizioni venuto dalla Conferenza Onu, ma sottolnea come ancora ancora non siamo al livello di accelerazione dell’azione necessario per affrontare l’emergenza climatica. “I leader mondiali sono arrivati a Katowice con il compito di rispondere agli ultimi rapporti della scienza sul clima, da cui e’ emerso che abbiamo solo 12 anni per dimezzare le emissioni di CO2 e prevenire un riscaldamento globale catastrofico. Sono stati compiuti importanti progressi, ma cio’ a cui abbiamo assistito in Polonia rivela una fondamentale mancanza di comprensione della nostra attuale crisi climatica da parte di alcuni Paesi. Per fortuna, l’Accordo di Parigi e’ disegnato per essere resiliente alle contingenze e tempeste geopolitiche. Abbiamo bisogno che tutti i paesi si impegnino a innalzare i propri obiettivi di riduzione delle emissioni entro il 2020, perche’ e’ in pericolo il futuro di tutti”, ha dichiarato Manuel Pulgar-Vidal, Leader internazionale Clima ed Energia del Wwf. I negoziati di quest’anno hanno in effetti mandato un segnale positivo sulla possibilita’ che i Paesi rivedano al rialzo i propri obiettivi climatici entro il 2020, rispondendo all’ulteriore allarme lanciato degli scienziati con il rapporto speciale dell’Ipcc 1,5°C. Paesi chiave, sia di piu’ antica industrializzazione sia in via di sviluppo, hanno manifestato il loro appoggio all’accelerazione degli sforzi globali per garantire un futuro climatico sicuro. L’esito della Cop indica nel summit sul clima del Segretario Generale delle Nazioni Unite (programmato per il 23 settembre 2019) il momento in cui sara’ chiesto ai leader di rispondere all’appello, annunciando o impegnandosi con obiettivi climatici nazionali aggiornati e piu’ ambiziosi entro il 2020. “Questa conferenza ha assegnato una responsabilita’ diretta ai leader che devono presentarsi al summit sul clima di settembre con obiettivi climatici piu’ in linea con le indicazioni della comunita’ scientifica o con l’impegno di adeguarli comunque entro il 2020. Qualcosa di meno sarebbe un dichiarazione di incapacita’ nel fronteggiare l’emergenza climatica e garantire un futuro ai propri cittadini, al proprio Paese, al Pianeta” ha aggiunto Mariagrazia Midulla, responsabile clima del Wwf Italia.

Il solo partito politico che in Italia commenta l’esito della conferenza sono i Verdi, per bocca di Angelo Bonelli. “Siamo alle solite, la crisi climatica non e’ un’emergenza per i paesi maggiormente responsabili delle emissioni di CO2 come Russia e Usa mentre paesi come India e Cina hanno invertito o stabilizzato il loro trend”. “Si discute su come arrivare a 100 mld di dollari a sostegno delle politiche globali sul clima entro il 2020  _ prosegue _ mentre nel 2017 si e’ raggiunto il record mondiale storico di 1748 miliardi di dollari per le spese in armamenti”. “Se da un lato l’Italia- continua l’esponente dei Verdi- con il suo ministro per l’Ambiente aderisce alla Coalizione dei paesi con target ambiziosi nei confini nazionali fa l’opposto confermando nella legge finanziaria i 14 miliardi di euro anno come sussidio alle fonti fossili e il sottosegretario all’energia Crippa annuncia che il piano energia clima avra’ come obiettivo il 30% al di sotto del target europeo al 2030 fissato al 32%”. ” Portare come un risultato la richiesta di candidatura dell’Italia alla prossima Cop _ conclude Bonelli _ e’ un modo per non voler far emergere la preoccupante inadeguatezza delle politiche sul clima del nostro paese a partire dalla legge finanziaria in discussione in Parlamento”.