Il peone Mastella e il capo dello Stato

Siamo nel 1978, fine giugno. Il presidente Leone è stato costretto alle dimissioni dallo scandalo Lockheed e alla Camera si riuniscono i “grandi elettori” per indicare il nuovo capo dello Stato consumando così uno dei più solenni riti del potere. Il settimanale Panorama si interroga: «Quali sono le frustrazioni di quei parlamentari di provincia che […]

Siamo nel 1978, fine giugno. Il presidente Leone è stato costretto alle dimissioni dallo scandalo Lockheed e alla Camera si riuniscono i “grandi elettori” per indicare il nuovo capo dello Stato consumando così uno dei più solenni riti del potere. Il settimanale Panorama si interroga: «Quali sono le frustrazioni di quei parlamentari di provincia che non partecipano ai vertici ma sono soltanto uno dei 1011?». La risposta è affidata al ‘diario di un peone’. Il peone si chiama Clemente Mastella, è democristiano, ha 31 anni e viene da San Giovanni in Ceppaloni, provincia di Benevento.

Martedì 27 giugno. «Arrivo in treno dal mio paese… Immagino che già a Montecitorio l’animazione sia forte. Invece non c’è nessuno». Ma il peone non si scoraggia. «Ne approfitto per sbrigare qualche pratica clientelare: pensioni, richieste di trasferimenti, assunzioni, sussidi…». Mastella ne approfitta, ma, ammette, «con scarsi risultati». Non conosce nessuno.

Mercoledì 28. La Camera comincia ad animarsi, ma per uno che «nel partito non conta nulla», farsi notare è quasi impossibile. Non resta che fare gruppo con «altri colleghi dc, tutti gregari come me». Il livello di frustrazione sale di conseguenza.

Giovedì 29. «Mi alzo tardi, tanto a condurre le consultazioni dei partiti sulla rosa dei candidati sono solo loro, i leader». Mastella si sente solo, inutile. Telefona a casa. Il figlio Benedetto, due anni, gli chiede quando tornerà, «ma io non so cosa rispondere». Mastella è triste, si consola pranzando al ristorante del Senato («è il più comodo, si viene serviti al tavolo»).

Venerdì 30. Oggi Mastella si alza di buon’ora. E’ determinato, vuole farsi notare. Aggancia un cronista di agenzia e gli detta una dichiarazione di fuoco contro la candidatura di Sandro Pertini. Poi telefona alla moglie per vantarsi, ma non funziona. A lei Pertini piace: lo sgrida. Alla Camera trova «più agitazione del solito». Quelli della corrente democristiana Forze nuove gli ordinano «di cominciare a votare Zaccagnini e non Gonnella». Obbedisce? Macché: «Voto Gonnella», scrive.

Li chiamano peones per questo, perché come i contadini messicani si rivoltano al potere che li sfrutta e nascosti da ampi sombreros che ne celano i lineamenti covano la rivolta.

Alla bouvette, Mastella sente il socialista Di Vagno domandare chi sia «questo rompicoglioni di Mastella». Zitto zitto, si allontana. Deve occuparsi della sorella che insegna a Bergamo e vorrebbe avvicinarsi a Benevento. Ne va del suo onore: «I miei genitori trovano scandaloso che io non riesca a farla trasferire più vicino a casa. ‘Che sei diventato deputato a fare?’, mi dicono». Mastella telefona a Benevento e scopre che in sua assenza «hanno tenuto il congresso cittadino della dc». Era l’unico oppositore, l’hanno fregato. La sorella resta a Bergamo.

Domenica 2. «Alla Camera incrocio Andreotti, ha un sorriso enigmatico…». Mastella prova a decifrare l’enigma: «Mi sembra di capire che il prossimo presidente della repubblica non sarà democristiano». La cosa non gli garba: «Sarà un problema spiegarlo ai nostri elettori in periferia».

Martedì 4. La giornata comincia male. Il socialista «Signorile mi ha salutato abbozzando un largo cerchio con l’indice e il pollice delle due mani: ‘Ve lo faremo così’». C’è «una buona notizia», però: «Il partito ci darà 200 mila lire come rimborso spese». Galvanizzato, Mastella ne investe parte nell’acquisto di «una maglia e scarpette da calcio». In serata, deputati e funzionari di Montecitorio si sfideranno sul campo. Mastella è in difesa. Farà autogol.

Giovedì 6. «Nuova inutile votazione. Molti miei colleghi dc vanno soltanto alla seconda chiamata: vogliono che alla Tv il loro nome venga ripetuto due volte».

I giochi sono ormai fatti. Alla sedicesima votazione, la Dc di Zaccagnini sosterrà un socialista: Sandro Pertini, appunto.

Sabato 8, dunque, Clemente Mastella indossa «l’abito blu» ma, nonostante le simpatie della moglie («che ha visto più lontano di me») e l’indicazione del partito, vota scheda bianca e, finalmente, se ne torna a casa. Il suo diario si conclude così: «La cerimonia del giuramento la vedrò alla Tv. Non sarà molto diverso dal modo in cui ho visto tutto il resto della battaglia presidenziale».

Morale della favola: ogni grande disegno quirinalizio è esposto all’ira funesta dei peones e al fuoco incrociato dei franchi tiratori.

diario franchi tiratori mastella panorama peone pertini