I ciechi siamo noi

Minimizzare, sdrammatizzare fin quasi a mistificare. Continua ad essere questo l’approccio delle élite intellettuali, del Vaticano e di gran parte della sinistra italiana alla minaccia rappresentata dall’Isis e più in generale al problema (problema serio, poiché con tutta evidenza ancora privo di soluzione) dell’integrazione delle minoranze musulmane. “Era solo uno psicopatico”, ha detto l’ex magistrato […]

Minimizzare, sdrammatizzare fin quasi a mistificare. Continua ad essere questo l’approccio delle élite intellettuali, del Vaticano e di gran parte della sinistra italiana alla minaccia rappresentata dall’Isis e più in generale al problema (problema serio, poiché con tutta evidenza ancora privo di soluzione) dell’integrazione delle minoranze musulmane. “Era solo uno psicopatico”, ha detto l’ex magistrato specializzato in terrorismo internazionale e attuale deputato “montiano” Stefano Dambruoso a proposito del tunisino che a Nizza ha massacrato 84 persone. Vero, ma se non si fosse convertito alla causa del radicalismo islamico in un contesto di guerra asimmetrica, Mohamed Bouhlel si sarebbe probabilmente buttato giù da un cavalcavia: ha invece scelto di sublimare le proprie frustrazioni calzando i panni del martire jihadista. Che fosse o meno organico all’Isis non cambia nulla. Quando i cadaveri erano ancora riversi sulla promenade des Anglais, papa Francesco ha condannato la “follia omicida” dell’attentatore, mentre il cardinale Parolin ne ha genericamente deprecato “la violenza cieca”. Nessun riferimento all’Islam, nessuna considerazione sulla matrice ideologico-religiosa del terrorismo. Ma l’Isis ci vede benissimo, i ciechi siamo noi. Meglio: quelli tra noi che non vedono, o fingono di non vedere, la vera natura della minaccia. Per aver evocato la categoria del “nazismo islamico”, alludendo di conseguenza alla necessità di una guerra giusta, il sottosegretario Gozi ha irritato il premier Renzi. Il quale, temendo rappresaglie, ha fino ad oggi accuratamente evitato di pronunciare la parola “guerra”. Di ipocrisia in ipocrisia, ci scopriamo dunque disarmati. Intellettualmente disarmati. La Francia, se non altro, ha gli Onfray, i Finkielkraut, gli Houellebecq e i tanti altri intellettuali “realisti”. Noi abbiamo Ernesto Galli della Loggia, che nei giorni scorsi ha scritto un editoriale per spingere le élite italiane fuori dalle secche del politicamente corretto. L’ha scritto sul “Corriere della Sera”, giornale che quando sembrava che a Fermo si fosse consumato un raid razzista ha trattato la notizia con gran clamore in prima pagina, ma quando, tardivamente, ha capito che la violenza fisica era stata scatenata dalla vittima nigeriana anziché dal carnefice italiano ha passato sotto silenzio il tutto. Visto l’esito fallimentare, è probabilmente vero che dietro il goffo golpe turco ci fosse l’amministrazione Obama. La stessa amministrazione Obama che, assieme alla tedesca Merkel, ha fino ad oggi puntellato Erdogan fingendo di non vedere la deriva religiosa e liberticida imposta alla Turchia, nonché le pur evidenti collusioni col jihadismo in Siria. Ipocrisie, balbuzie, miopie. Fino al paradosso che a dichiarare “fallito” il processo di integrazione dei musulmani in Europa è oggi uno scrittore marocchino, Tahar Ben Jelloun. Dice ciò che la gran parte dei suoi omologhi italiani di sinistra pensa. Lo pensano, ma non lo dicono. Non lo dicono per timore d’essere qualificati “razzisti” o più semplicemente “di destra”. Ovvio che il loro tacere faccia il gioco dei razzisti veri. E delle destre, naturalmente.

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