The Open: gioventù protagonista

Golfisticamente, siamo tutti cresciuti con la certezza che il nostro sport fosse un gioco esclusivamente per vecchi. Ci pensano invece i risultati parziali di questo 144simo Open Championship a scardinare una volta per tutte queste nostra atavica e stupida sicurezza: a scorrere dall’alto il tabellone di St. Andrews, parrebbe infatti che il golf sia disciplina […]

Golfisticamente, siamo tutti cresciuti con la certezza che il nostro sport fosse un gioco esclusivamente per vecchi. Ci pensano invece i risultati parziali di questo 144simo Open Championship a scardinare una volta per tutte queste nostra atavica e stupida sicurezza: a scorrere dall’alto il tabellone di St. Andrews, parrebbe infatti che il golf sia disciplina adattissima a tipini anagraficamente giovani ma mentalmente assai maturi.

Jordan Spieth e l’amateur irlandese Paul Dunne, rispettivamente quarto e addirittura primo in classifica dopo 54 buche, sommano 43 anni in due: molti meno dei lustri di Harrington o di Goosen e che comunque li tallonano da vicinissimo.

Spieth e Dunne: due ragazzi così diversi nel portamento –il primo pare la riedizione elegante di Paul Newman; il secondo più un manutentore di caldaie, ahimè- eppure così vicini nel modo di gestire la propria giovinezza.

Sono ventenni che sanno vivere in pieno la grande bellezza della propria età: l’essere capaci di godersi il momento felice mentre lo sono, felici; ragazzi che non sentono affatto il bisogno di proiettarsi in zone di tabellone più rassicuranti e meno impegnative: con l’ormone a palla dei loro 20 anni, cercano la sfida e la competizione, ma lo fanno con la freddezza di un consumato serial killer.

E ancora: cresciuti nell’era Zuckeberg, quando scendono in campo paiono sentirsi a proprio agio come se impegnati in un match all’ultimo sangue di un “Call of Duty” qualsiasi.

Queste le stigmate a segnalare la loro freschezza anagrafica: al netto di ciò, restano due campioni che affrontano la pressione con una consumata esperienza che chissà dove e quando hanno accumulato e chissà in quale passato che ancora non hanno vissuto.

Comunque sia, domani Jordan dagli occhi blu e Paul dalle cosce alla Zanetti saranno entrambi chiamati a dimostrare al mondo le proprie rispettive capacità e lo dovranno fare attingendo a piene mani sia dall’incoscienza della propria giovinezza, sia dalla maturità del proprio animo. Perché si sa, il giro perfetto del golf perfetto sta proprio qui: sempre esattamente a metà strada tra una geniale follia e una scientifica lucidità.

Morale: se vorranno conquistarsi onore e gloria a Saint Andrews, questi due maturi ragazzi avranno necessità di 18 buche alla buona, vecchia maniera di Tiger Woods, il quale, permettetemi, mai come in questo week end è sembrato un consumato campione di una generazione ormai sorpassata.

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