Sette morti a Beirut negli scontri fra sciiti e cristiani per l’inchiesta sull’esplosione al porto

Di Lorenzo Bianchi Per un  giorno Beirut è sembrata a un passo da una nuova guerra civile, una fotocopia del conflitto fra sciiti e cristiani che ha lacerato il Paese per quindici anni fra il 1975 e il 1990. Giovedì centinaia di militanti del partito sciita dominante Hezbollah e di Amal, la compagine politica dell’immarcescibile […]

Di Lorenzo Bianchi

Per un  giorno Beirut è sembrata a un passo da una nuova guerra civile, una fotocopia del conflitto fra sciiti e cristiani che ha lacerato il Paese per quindici anni fra il 1975 e il 1990. Giovedì centinaia di militanti del partito sciita dominante Hezbollah e di Amal, la compagine politica dell’immarcescibile presidente sciita del Parlamento Nabih Berri, hanno marciato verso il tribunale  che si trova a circa 500 metri dalla rotonda Tayyoune, la porta di accesso al quartiere cristiano Ayn Remmané. I partecipanti alla protesta, muniti di kalashnikov e di lanciarazzi, contestavano l’inchiesta del giudice Tareq Bitar sull’esplosione di 2700 tonnellate di nitrato di ammonio ammassate in un capannone del porto, la deflagrazione che il 4 agosto dl 2020 ha spezzato 214 vite e lasciato senza tetto circa 300 mila persone, un quarto degli abitanti della capitale libanese.

Per quella mattanza Bitar ha accusato quattro uomini politici. Contro Hassan Khalil, deputato di Amal, ex ministro delle Finanze e braccio destro di Berri, il magistrato ha spiccato un  mandato di arresto. Gli avvocati di Khalil e di Ghazi Zeaiter, esponente di Amal e ministro dei Trasporti e dei Lavori Pubblici in carica il 4 agosto del 2020, hanno ricusato Bitar. Hezbollah lo ha accusato di voler “politicizzare” l’inchiesta. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso degli avvocati di Khalil e di Zeaiter. Quando il corteo (annunciato come “pacifico”) si è avvicinato alla rotonda Tayyoune dai tetti dei palazzi di Ayn el-Remmané sono partiti colpi di cecchini.

Sono morte sette persone (nella foto i primi scontri all’imbocco del quartiere Ain Remmané), sei miliziani di Hezbollah e di Amal e Mariam Farhat, una madre di 5 figli colpita nella sua casa da un proiettile vagante. Hezbollah e Amal piangono ora i loro “martiri” e sostengono che li ha fulminati un agguato delle Forze Libanesi guidate da Samir Geagea. Secondo Samy Gemayel, nipote di Bashir, il fondatore delle Falangi cattolico – maronite “Kataeb” che fu assassinato nel 1982 quando era appena diventato capo dello stato, le milizie di Hezbollah sono “entrate nelle strade interne di Ain el-Remmané, hanno infranto le vetrine dei negozi e aggredito gli abitanti, sia verbalmente sia fisicamente, dopo aver picchiato diversi soldati che tentavano di bloccarli. Era impossibile non reagire”. Le Forze Libanesi però smentiscono il coinvolgimento nel fuoco dei cecchini. Samir Geagea in un’intervista televisiva ha sostenuto che la popolazione di Ain el-Remmané “si è semplicemente difesa da un’aggressione”.

Gli  Hezbollah hanno replicato che Geagea è “un sionista” e il loro giornale lo ha raffigurato in una vignetta con baffetti alla Hitler e in uniforme nazista. Nonostante i toni vibranti a Ghobeiry, a sud di Beirut, durante le esequie di Ali Ibrahim e di Hassan el-Sayyed, due dei tre esponenti del “Partito di Allah” caduti giovedì 14 ottobre, Hachem Safieddine, presidente del Consiglio esecutivo degli Hezbollah, ha assicurato che il suo partito non si farà risucchiare nel vortice di una guerra civile.

L’economia del Paese dei Cedri è prostrata. La rete elettrica pubblica si è fermata dalle 12 dell’8 ottobre fino al 10. Le centrali di Deir Aamar, nel nord, e di Zahrani, nel sud, erano rimaste senza una goccia di gasolio. La capacità di produzione, ha ammesso l’ente elettrico statale Edl, era piombata sotto i 270 megawatt. A Tripoli gli abitanti infuriati hanno bloccato le strade con le auto e hanno incendiato pneumatici. Nelle loro case mancava anche l’acqua. Ai distributori di benzina si sono formate file lunghe diversi chilometri che hanno innescato scontri e violenze. In agosto 20 persone sono morte e 79 sono rimaste ferite dopo l’esplosione di un serbatoio durante una distribuzione illegale di carburante nel nord del Paese. Il 20 settembre un’interruzione di corrente ha interrotto il voto di fiducia del Parlamento al nuovo primo ministro Najib Mikati.

 

“Arrivava appena un filo di energia elettrica – ha spiegato Marc Ayoub, ricercatore dell’Università americana di Beirut – e questa scarsità ha danneggiato la rete di distribuzione”. Secondo l’ente elettrico pubblico un carico di carburante “di categoria A” arriverà entro la serata del 9 ottobre, ma potrà essere scaricato per alimentare le centrali di Zouk e di Jiyé solo l’11. All’inizio di ottobre si erano fermate le due centrali galleggianti affittate a Karpowership, una filiale dell’operatore turco Karadeniz Holding, che assicurano circa un quarto delle capacità totali di Edl.

 

Dal 1990 ogni dodici mesi la rete elettrica pubblica costa al tesoro libanese tre miliardi di dollari. Due anni fa la Banca del Libano, l’Istituto di credito centrale, è stata costretta a cancellare tutte le sovvenzioni sui carburanti e su altri generi di prima necessità. Molti privati hanno dovuto comprare costosi generatori. Gli Hezbollah hanno fatto arrivare petrolio dall’alleato Iran attraverso la Siria attraverso canali clandestini. Oro nero ad alto contenuto di zolfo è stato fornito anche dall’ Iraq in cambio di servizi medici.

 

L’Onu stima che il 78 per cento della popolazione libanese viva in condizioni di povertà. L’esplosione del 4 agosto 2020 al porto di Beirut ha provocato danni ingenti. Il 90 per cento delle importazioni passava attraverso le banchine distrutte. Il 9 marzo 2020 il Libano ha alzato bandiera bianca e non ha pagato un eurobond in scadenza da 1,2 miliardi di dollari.

 

Il Paese dei cedri potrebbe risollevarsi grazie ai giacimenti di gas naturale Tamar e Leviathan che si trovano al largo del suo territorio che confina con Israele. Il 14 ottobre 2020 a Naqoura un incontro preliminare nella sede della missione Unifil due dell’Onu ha dato il via alla trattativa con Gerusalemme. Il quotidiano “Al Arab” stima che il Libano possa diventare il terzo produttore di gas naturale nel mondo arabo. Ma per ora questa è solo una prospettiva luminosa che fa balenare la possibilità di un ritorno dei tempi nei quali il Paese era conosciuto come la “Svizzera del Medio Oriente”  e nei forzieri degli istituti di credito libanesi arrivavano soldi da tutto il mondo arabo e non solo.”. Ancora nel 2011 le sue banche private riuscivano a finanziare buona parte di un debito pubblico arrivato al 130 per cento del Pil.