L’incubo dei ricontagiati di Wuhan che sembravano guariti

Di Lorenzo Bianchi Guariti e ripiombati nella malattia. A Wuhan e in Italia è il grande mistero, la vendetta silenziosa del virus Covid19. Più di 30 persone che erano risultate positive e successivamente guarite nella provincia di Hubei, quella di Wuhan, l’epicentro della pandemia planetaria, hanno presentato i sintomi della ricaduta. Un mistero sanitario titola […]

Di Lorenzo Bianchi

Guariti e ripiombati nella malattia. A Wuhan e in Italia è il grande mistero, la vendetta silenziosa del virus Covid19. Più di 30 persone che erano risultate positive e successivamente guarite nella provincia di Hubei, quella di Wuhan, l’epicentro della pandemia planetaria, hanno presentato i sintomi della ricaduta. Un mistero sanitario titola “Caixin Global”, autorevole sito cinese in lingua inglese. “I tamponi ad acidi nucleici – si interroga Jiao Yahui, ispettore della Commissione Nazionale per la salute pubblica in un’intervista alla tv di stato – continuano a mostrarli positivi. Sono una minoranza, ma ci sono. Qualcuno diventa negativo solo dopo quaranta giorni. In alcuni casi i pazienti sono tornati positivi senza manifestare il minimo sintomo.

Rong Meng, un esperto di malattie infettive che lavora all’ospedale Ditan di Pechino, riferisce che alcuni ammalati usciti dall’incubo, molti dei quali bambini, risultano positivi al tampone con acidi nucleici anche 40 giorni dopo i primi sintomi, mentre la media normale è di 20.

Il grande mistero è se i “ricaduti” siano ancora contagiosi per le altre persone. Secondo Cai Weiping, infettivologo dell’Ospedale del Popolo numero 8 a Guangzhou, la Prefettura di Canton, grande metropoli della Cina meridionale, gli scienziati sul punto sono discordi e sono necessari altri studi. Nell’attesa i malati di ritorno dovrebbero comunque essere confinati in isolamento e attentamente seguiti. Zhang Boli, presidente della Università di Tianjin di medicina tradizionale cinese, ha scoperto che la sequenza genomica di alcuni pazienti guariti mostra che, pur essendo inattivo il virus, è rimasta la sua traccia nel corpo delle persone colpite.

Negli ultimi giorni di marzo la bozza di uno studio dei medici militari di Wuhan Wang Qingshu e Niu Hongming ha esaminato il caso di un uomo rimasto positivo per ben 49 giorni. La persona, sulla cinquantina, aveva la febbre e denunciava altri sintomi il 25 gennaio. Una settimana dopo sembrava guarito. L’8 febbraio era ammalato di nuovo, dopo che un membro della sua famiglia si era infettato. Nei giorni successivi, sottoponendosi ai controlli con gli acidi nucleici, era risultato positivo per ben nove volte con una sola eccezione, l’11 marzo. Due analisi degli anticorpi, una alla fine di febbraio e l’altra a metà marzo, avevano rivelato la presenza di immunoglobulina  di un tipo e l’assenza di un’ altra.

La valutazione dei medici è stata che l’infezione era uscita dalla fase acuta. Il 15 marzo il paziente è stato curato con il plasma, ossia con trasfusioni di elementi di sangue ricco di anticorpi.  Poche ore dopo il trattamento ha avuto la febbre alta. Il giorno successivo gli è passata. Dopo 48 ore era di nuovo negativo. “Senza la terapia del plasma – hanno scritto i due medici militari – avrebbe potuto diventare un caso di infezione cronica”. Gli autori dello studio scrivono che non possono essere certi che questi pazienti diffondano il virus e dichiarano di non avere la minima idea di quanto possa durare la capacità di infettare. La loro impressione è che le malattie in ambito famigliare siano meno virulente, ma che durino più a lungo.

Sulla sicurezza del laboratorio P 4 dell’Istituto di virologia di Wuhan continuano a manifestarsi molti dubbi. E’ stato inaugurato, ricorda il “South China Morning Post”, il quotidiano più diffuso di Hong Kong, nel 2015 con l’aiuto della Francia che fornì anche la consulenza di Alain Mérieux, titolare di una fondazione che lotta contro le pandemie come l’Ebola e la Nipah. Ha cominciato a funzionare nel 2018. Josh Rogin, un commentatore della “Washington Post” ha scritto che due funzionari dell’ambasciata statunitense a Pechino nel gennaio dello stesso anno hanno mandato rapporti che denunciavano la “scarsità di personale tecnico dotato di addestramento appropriato e di esperti di operazioni in sicurezza”. Filippa Lentzos, ricercatrice al King’s College di Londra, ricorda che al laboratorio sono state indirizzate “accuse generiche e specifiche sui bassi standard di biosicurezza, su discutibili pratiche di ricerca sugli animali e sul loro smaltimento”. A conferma dei sospetti Lentzos ricorda che a metà febbraio Pechino ha varato una nuova legge sulla materia. Il segretario di stato statunitense Mike Pompeo nei giorni scorsi ha chiesto inutilmente che sia consentita ai tecnici del suo Paese una visita al laboratorio P 4.