TEATRO / Luca De Filippo e suo padre Eduardo, l’uomo che visse due volte

Eduardo è morto per la seconda volta. Lo scrive Milena in un commento sulla pagina della Compagnia teatrale di Luca De Filippo, e di certo non è un’offesa. Anzi: è la cosa più sensata che si possa dire. E non perché Luca, 67 anni, passato dal proscenio all’aldilà in poco più di due settimane per colpa […]

Eduardo è morto per la seconda volta. Lo scrive Milena in un commento sulla pagina della Compagnia teatrale di Luca De Filippo, e di certo non è un’offesa. Anzi: è la cosa più sensata che si possa dire. E non perché Luca, 67 anni, passato dal proscenio all’aldilà in poco più di due settimane per colpa di un maledetto cancro, sia vissuto schiacciato dall’ombra troppo grande di Eduardo suo padre. Semmai perché mai nessun figlio d’arte ha mai portato con così tanta classe e valore questo titolo.

Luca De Filippo alle commedie di Eduardo ha dedicato tutta la sua vita. Attore eccellente, rigoroso, sopraffino, sul palco del padre è salito la prima volta a sette anni: era il piccolo Peppiniello in quel grande affresco comico che è Miseria e nobiltà (‘Vincenzo m’è padre a me’, diceva con voce a cantilena, chi non se lo ricorda?). Fu poi anche Tommasino, il figlio di Lucariello, protagonista di ‘Natale in casa Cupiello‘. Ultimogenito viziato e coccolato, che non si vuole scetare e quando lo fa è solo perché vuole ‘a suppa e’ latte, e al padre – che vive del suo Presepe mentre nella vita la sua famiglia va a rotoli – non vuole dare la soddisfazione di rispondere che sì: gli piace ‘o presepio.

Da quel giorno fino allo scorso ottobre Luca De Filippo è stato altre migliaia di volte suo padre, contraltare scenico a una vita fatta di privazioni. Sacrifici che Eduardo tributò al figlio pubblicamente, in un ideale passaggio del testimone, un mese prima di morire, rompendo una tradizione della famiglia Scarpetta-De Filippo: gli affetti non salgono mai sul palco, lì ci sono soltanto attori.

Siamo a Taormina nel 1984, Eduardo parla ineditamente di sé e per farlo – a sorpresa – parla di Luca. “Fare teatro sul serio – dice – significa sacrificare una vita. Sono cresciuti i figli ed io non me ne sono accorto. Meno male che mio figlio è cresciuto bene. Scusate se parlo di mio figlio. Non ne ho mai parlato. Si è presentato da sé, è venuto dalla gavetta, dal niente, sotto il gelo delle mie abitudini teatrali. E’ stata tutta una vita di sacrifici. E di gelo. Così si fa il Teatro. Così ho fatto”.

“Senza mio figlio, forse io me ne sarei andato all’altro mondo tanti anni fa”, aggiunge subito dopo. Ed è verissimo perché a Luca, Eduardo deve quei trent’anni successivi in cui la Compagnia teatrale Luca De Filippo lo ha portato in scena quasi ogni sera. Trent’anni nei teatri italiani, ogni anno con una commedia diversa. Tantissime, bellissime. Rappresentate con quell’estro e quella mimica che da Eduardo, Luca ha imparato in quegli anni di gelo e di prove. Aiutato da una somiglianza fisica eccezionale ma mai ostentata, né tantomeno usata, piuttosto riempita di originalità e bravura autentica. Mai una scimmiottatura del padre. Piuttosto un rigore e un rispetto dell’opera originale, questo sì, che un estraneo non avrebbe potuto mai avere.

A chi gli chiedeva se non avesse mai pensato di scrivere e mettere in scena un’opera propria, Luca De Filippo rispondeva con sguardo serio: “C’è un patrimonio della cultura italiana, composto dalle 55 commedie scritte da Eduardo ed è un dovere morale per me tenerle vive, metterle in scena, per far sì che non si perdano, che restino vive”. Eduardo: in pubblico lo ha sempre chiamato per nome. Rarissimo che lo si sentisse dire in un’intervista “mio padre”. Era sempre “Eduardo”, in un gesto di rispetto dell’artista che viene prima perfino del padre.

Così ha fatto Luca: ha perpetrato un’arte e un patrimonio imparato sul campo, tramandato a sua volta dal nonno, Eduardo Scarpetta, che quei tre figli geniali – Eduardo, Peppino e Titina – ebbe da una relazione proibita con la nipote di sua moglie, e che non riconobbe ma allevò sul palcoscenico anche lui fin da piccolissimi.

Eduardo suo padre lo ha poi battuto sul campo, in quanto a numero di capolavori, sebbene sembrasse impossibile. Luca invece suo padre non lo ha neppure sfidato, semplicemente lo ha reso immortale. Per questo era uno spettacolo andarlo a vedere. Commedia dopo commedia, ogni messa in scena era una sfida: avere alle spalle un gigante e portare a casa la riconoscenza del pubblico. I mostri furono gli stessi per entrambi. Uno su tutti Napoli Milionaria. L’opera più maestosa di Eduardo, che gli aprì le porte del mondo e che il 14 marzo 1945, quando fu messa in scena la prima volta, scioccò il suo pubblico abituato soltanto a ridere. E’ una commedia che non finisce: “S’ha da aspetta’, Ama’. Dobbiamo aspettare. Ha da passa’ ‘a nuttata”. Giù il sipario. Seguono minuti di silenzio angosciato prima che il pubblico si sciolga nell’applauso più convinto e commosso di sempre.

Eduardo raccontò che, da dietro le quinte, quel lungo silenzio fu lungo delle ore. Sembrava delusione, e invece era soltanto emozione. Luca, che nasce comico, ci ha messo vent’anni per trovare il coraggio di affrontare quella rappresentazione. Ci arriva nel 2003, ed è un successo così grande che, in scena, viene richiesta per tre anni. Successo bissato con un altro capolavoro delle Cantate dei giorni dispari (le commedie più amare di Eduardo): Filumena Marturano. Tante altre ne sarebbero dovuto venire. Non le vedremo più in scena in quel modo, o forse sì. Perché magari qualcuno prenderà il suo testimone, e conserverà il suo stesso rigore. Portando avanti una storia che, da Scarpetta in poi, ha attraversato tre generazioni. Ma continuare si può, anzi si deve, perché il teatro di Eduardo non può restare lettera morta. E’ come una splendida nuttata che non dovremmo fare passare mai.

cupiello eduardo de filippo luca de filippo marturano teatro