LIBRI / La bici di Bartali e le pallottole di Pallante

Due libri usciti qualche mese fa riportano nuova luce su due episodi cruciali e mai fin troppo raccontati della storia italiana: la resistenza civile alle leggi razziali del 1938 da un lato, e dall’altro quei tre giorni di guerriglia civile che sconvolsero il Paese dieci anni dopo, tra il 14 e il 16 luglio 1948, all’indomani dell’attentato […]

Due libri usciti qualche mese fa riportano nuova luce su due episodi cruciali e mai fin troppo raccontati della storia italiana: la resistenza civile alle leggi razziali del 1938 da un lato, e dall’altro quei tre giorni di guerriglia civile che sconvolsero il Paese dieci anni dopo, tra il 14 e il 16 luglio 1948, all’indomani dell’attentato a Togliatti.

Due i titoli di cui prendere nota: “Una bici contro il fascismo” di Alberto Toscano e “Quattro colpi per Togliatti” di Stefano Zurlo,  entrambi usciti per la Baldini+Castoldi, marchio rinato lo scorso anno grazie a La nave di Teseo (unico intervento, ma perdonabile, l’aver sostituito la storica & con una +). A collegare i testi due ruote esili e veloci, polpacci di granito e un cuore lento, troppo lento, bradicardico, sotto al naso adunco di Gino Bartali. E’ lui il Virgilio inconsapevole che, grazie al lavoro di due bravi giornalisti, ci riporta oggi in un decennio così denso di storia che non basterebbero altri cento libri a raccontarne ogni angolo.

Tutto noto eppure sfuggevole come la storia del campione di ciclismo che durante la guerra salva ottocento ebrei e ne porta il segreto fin dentro la tomba perché “il bene si fa, non si dice”. Il figlio di Bartali, Andrea, per primo raccontò, anni dopo la sua morte, chi era davvero quel burbero di suo padre. Uno a cui la guerra ha strappato i successi migliori, e che pur senza gare è stato capace di montare ogni giorno su una bici, per percorrere centinaia di chilometri da Firenze ad Assisi, fermarsi a ogni posto di blocco tedesco, firmare autografi alle odiate Ss e incazzarsi di brutto se qualcuno di loro osava toccargli la bici per perquisirla. “Qui è tutto un equilibrio meccanico – ammoniva – se me la tocchi poi è l’è tutto da rifare!”. E subito via, in finta volata a uso di quei suoi fan sanguinari,  per portare più lontano possibile i documenti falsi che nascondeva ogni volta nella canna e che ridiedero la vita a centinaia di famiglie ebree.

La storia oggi è nota a tutti: Bartali, post mortem, è stato accolto in Israele tra i Giusti  tra le Nazioni, e le sue gesta sono finite in tv. Quello che in più Alberto Toscano ci dà, oltre a ripercorrere quelle vicende con meno fiction e più rigore da cronista, è restituirci un Bartali dall’antifascismo più tridimensionale.  Lo fa ripescando con cura veline e titoli di giornale per ricostruire l’immagine di un atleta odiatissimo dal regime perché platealmente credente, per non aver mai ringraziato il Duce dopo una vittoria e non aver mai prestato la sua fama e il suo corpo alla propaganda. Intoccabile per via della notorietà, Bartali – ricorda Toscano – fu sopportato dal regime che si vendicò restituendone per anni un racconto a luci e ombre: un titolo alle gesta dell’atleta e un discredito all’uomo, che doveva essere bandito dalla vita pubblica, se non per denigrarlo.

Personaggio cruciale Bartali, anche per quella volta che salvò l’Italia dalla guerra civile. Da qui parte il link con l’opera di Zurlo, che in un capitolo del suo libro-intervista all’attentatore di Togliatti (è ancora vivo, e sta in Sicilia) ritorna al 15 luglio del 1948 in cui il campione toscano contribuì a smorzare i moti sorti per l’attentato al Migliore. E che contributo! Quasi disperse dalle piazze i manifestanti, Ginettaccio, costringendoli a rintanarsi in un bar o in un circolo a guardare le sue gesta di vecchio bacucco che, a 38 anni suonati e dieci anni dopo dal suo ultimo Tour vinto, in una sola tappa di montagna rimontò la corsa prosciugando i 20 minuti di ritardo dal campione Bobet con una salita e tre banane per pasto.

Questa è l’epica, ovvio. Che non cancella i trenta morti e le centinaia di feriti di quei giorni, e mitizza un intervento che, chiaramente, non fu che una delle leve per il rientro dei disordini. Eppure è  un intervento nella storia, innescato da una chiamata ufficiale di De Gasperi rimasta epica (“Bartali, crede di porter vincere domani? Qui servirebbe molto”).  Ma non è che un capitolo di un libro ben più ampio in cui Zurlo ricostruisce quei giorni e i mesi successivi partendo dai resocinti giornalistici, dai documenti parlamentari e giudiziari e da una fonte diretta eccezionale. Quello stesso Antonio Pallante, 26enne autore dell’attentato a Togliatti e oggi ultranovantenne che lo scorso anno, con lucidità, ha finalmente deciso di raccontarsi dopo anni di oblio. Fornendo particolari inediti e un punto di vista prezioso, benché parziale per sua costituzione, a un capitolo così drammatico e cruciale della nostra storia.

Ecco, è tutto. Buona lettura.