MUSICA / Il mare a piazzale Loreto e la lezione dei Selton

Le esterofilie a domicilio sono sempre un brutto rischio. Prendi Toto Cutugno in Russia. Una specie di semidio (‘The italian legend‘, lo descrisse il The Baltic Times alla vigilia del grande concerto di Riga). O Al Bano, i cui biglietti nei teatri russi ancora oggi arrivano a costare più di mille euro. Furono loro, i […]

Le esterofilie a domicilio sono sempre un brutto rischio. Prendi Toto Cutugno in Russia. Una specie di semidio (‘The italian legend‘, lo descrisse il The Baltic Times alla vigilia del grande concerto di Riga). O Al Bano, i cui biglietti nei teatri russi ancora oggi arrivano a costare più di mille euro. Furono loro, i russi, a pagare profumatamente la reunion con Romina. E solo l’anno dopo il Festival di Sanremo ci mise il cappello. Regola che, va detto, vale altrettanto con certi nostri idoli del pop statunitense che negli States neppure conoscono.

Premessa doverosa, per dire quanto lo specchio dell’esterofilia possa deformare l’immagine di un artista, soprattutto quando è lui a venire a casa tua e non viceversa. Eppure dobbiamo rallegrarci se, nel panorama italiano, una delle produzioni migliori di quest’anno (‘Loreto Paradiso’ dei Selton, 2016, Godzilla Market-Believe / Self) ci arriva da un gruppo di brasiliani.

Ormai noti a molti (sono al quarto album), i Selton sono in Italia per caso: il gruppo si è formato a Barcellona. Facevano musica di strada. Li ha notati Fabio Volo e li ha portati nel suo programma. Li ha sentiti un manager di Mtv e ha prodotto in Italia il loro primo disco. Tutte le premesse per farne un fenomeno televisivo, e quanti ne abbiamo già sul groppone.

Ma poiché Milano è imprevedibile, in quegli anni ha fatto il miracolo e la pianta posticcia dei Selton è stata innestata da Enzo Jannacci. Poteva non attecchire, come spesso capita di fronte a molti duetti comandati. I Selton, invece, ci hanno messo del proprio. Parte da quel primo album (Banana à milanesa, 2008, Barlumen Records) un percorso di crescita a tutto tondo, che ha il suo punto di rottura definitivo in ‘Saudade’ (2013, Ghost Record & Publishing), in cui le mille anime di questi quattro ragazzi di Porto Alegre si sono finalmente fuse in un linguaggio solo.

Una strada che ‘Loreto Paradiso’ esalta alla perfezione, mescolando l’italiano al portoghese e all’inglese, l’indie americano agli strumenti tipici della samba, le sonorità del rock alternativo milanese a quell’ironia dell’indimenticabile Jannacci. Un paradiso che ha casa in piazzale Loreto e che gli stessi Selton chiariscono essere un luogo dell’anima. “Se non sarai felice qui e ora, allora non lo sarai mai”, recita un vecchio detto giapponese che Daniel Plentz (voce e percussioni), Eduardo Stein Dechtiar (basso e voce), Ramiro Levy (chitarra, ukulele e voce) e Ricardo Fischmann (voce e chitarra) sembrano aver messo in pratica. Spiegando sul loro sito che piazzale Loreto altri non è che il luogo dove, in un momento, per loro le cose vanno a gonfie vele.

L’umore è buono e si sente. Anche la saudade è stemperata in quella malinconia propositiva che, poi, è il vero senso di una parola portoghese in Italia troppo spesso associata ai centravanti in crisi d’identità. Basti ascoltare ‘Buoni propositi’, ‘Qualcuno mi ascolta?‘ o ‘Voglia d’infinito’: ‘Ho tanta voglia d’infinito, ora che tu hai finito con me’. Filosofia che, fosse passata negli anni Ottanta in Italia, avrebbe bruciato sul nascere la strada a torme di neomelodici.

Festa, dunque: ‘Be my life‘ o la stessa ‘Loreto Paradiso’ possono testimoniarne la cifra. Brani che starebbero perfettamente in una serie di album che spolveriamo da tempo nella teca degli idoli indie, qualunque cosa voglia dire quel termine-ombrello che ormai abbiamo assurto a genere musicale. Molto legati all’Italia, per ovvi motivi di vendite, nel frattempo i Selton stanno tentando il ritorno a casa da campioni: ‘Loreto paradiso’, in questi giorni è uscito anche in Brasile, accompagnato da un tour (ma non è il primo) con cui i quattro ragazzi brasilo-milanesi stanno cercando il successo dei due mondi. Ci riuscissero sarebbe finalmente la dimostrazione che certe etichette stantie tipo ‘musica leggera italiana’ forse non hanno molto più senso d’esistere.

 

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