Giovedì 16 Maggio 2024
FRANCO CARDINI
Archivio

Le reliquie rubate

E' un peccato che non siano poi troppi a sapere chi fosse Jacques-Albin-Simon Collin, vissuto tra 1793 e 1887, il quale amava firmarsi Collin de Plancy ed è noto soprattutto per un puntiglioso Dictionnaire infernal. Nello spirito dell’ancor persistente razionalismo illuministico di allora, che del resto – messo in crisi dalle tendenze romantiche – si sarebbe di lì a qualche decennio rigenerato nel contesto dell’evoluzionismo, diavolo e demonologia potevano ben esser canzonati. Non contento, Collin fra 1821 e 1822 dette alle stampe un implacabile Dictionnaire critique des reliques et des images miracoleuses nel quale metteva alla berlina tutti i più ridicoli eccessi della credulità religioso-popolare sottolineando come fosse stata, nei secoli, sostenuta o comunque mai con adeguato rigore combattuta dalla Chiesa cattolica.  Ma era uno spirito inquieto.

Nel 1841 si convertì al cattolicesimo e divenne da allora uno stretto collaboratore del gran principe degli eruditi cattolici, l’abate Jacques-Paul Migne. D’altronde Collin, malgrado le sue conoscenze (o proprio a causa loro) non rifuggiva dal plagio. Gli fu rimproverato di aver attinto a piene mani al Dictionnaire philosophique, nel quale il Voltaire aveva messo insieme un’esilarante raccolta di aneddoti sulle più improbabili e ridicole reliquie venerate dalla gente. Peccato che anche il Voltaire fosse un plagiario: aveva scopiazzato dal Traité des reliques di Giovanni Calvino, ‘manifesto’ della condanna del culto delle reliquie da parte dei cristiani riformati. 

Ma neppure l’austero teologo di Noyon ce la conta giusta: sua fonte precipua fu l’opera di un pio trattatista e cronista vissuto a cavallo tra XI e XII secolo, Guibert abate del monastero benedettino di Nogent, il quale nel suo De pignoribus sanctorum aveva denunziato con indignato rigore gli abusi non solo del culto, ma addirittura del fiorentissimo commercio di reliquie del suo tempo. Le varie riforme della Chiesa cattolica – e ve ne sono state parecchie, oltre a quella che per molti è ‘la Riforma’ per eccellenza, la protestante – hanno colpito con severità gli abusi generati da una tradizione devota e alimentati dalla credulità popolare, giunti a proporre alla venerazione sugli altari delle chiesa improbabili oggetti come i dentini di latte o il ‘Santo Prepuzio’ del Bambino Gesù. Ancora il Concilio Vaticano II ha mandato in soffitta o in cantina (oppure nei musei) una quantità di santi reperti, di solito frammenti d’ossa, di dubbia origine. Ma in molti casi la polemica continua: si pensi alla sindone di Torino o al ‘sangue di san Gennaro’ a Napoli.  Venerare le spoglie e i ricordi dei semidei e degli eroi era cosa comune nell’antichità greco-romana, così come lo è in molte religioni, per esempio il buddhismo: meno diffusa, se non addirittura proibita, è tale pratica presso ebrei e musulmani che vi ravvisano tracce d’idolatria e di superstizione. 

Introdurre il culto delle reliquie fu quindi una buona pratica acculturativa, per far sentire a loro agio i pagani che si convertivano al cristianesimo. Ma, nella fede che si fonda sulla storicità del Cristo e sul permanere della tradizione da Lui fondata, una reliquia era quel che i greci chiamavano un leipsanon e i latini pignus: un ‘pegno’, appunto, una promessa e garanzia di salvezza. La reliquia è nella tradizione cattolica un resto corporeo di santi o sante, beati o beate, oppure un qualche oggetto santificato dal contatto con loro. Casi particolari sono le reliquie della Beata Vergine Maria e, soprattutto, del Cristo: specialissime poi fra tutte sia le reliquie del legno della Santa Croce, sia quelle del Santo Sangue del Signore. 

Le prime reliquie furono brandelli di stoffa serviti ad asciugare il sangue dei martiri; poi, con il IV secolo, una scoperta dell’imperatrice Elena madre di Costantino dette origine al culto della ‘Vera Croce’. Ma la storia della Chiesa ha conosciuto momenti di tumultuosa caccia alle reliquie e di commercio, vere o false che fossero: soprattutto fra X e XI secolo, ma anche verso la fine del medioevo. Alle reliquie si attribuiva valore taumaturgico: si ritiene che tramite la loro venerazione si siano verificati miracoli. Per questo la Chiesa usa grande prudenza: in genere consentendo, nei casi più illustri e famosi, che una reliquia sia venerata secondo la tradizione locale che la riguarda, ma cercando il più possibile di arginar il dilagare delle pratiche devote.