Lunedì 29 Aprile 2024

Olivier Dacourt, dare voce alla battaglia contro il lato oscuro del pallone

Olivier Dacourt, Ex Centrocampista di Roma, Inter e Nazionale francese

Olivier Dacourt, Ex Centrocampista di Roma, Inter e Nazionale francese

"Alcuni giovani non vengono a giocare in Italia per il razzismo. I calciatori dovrebbero avere più coraggio nel combattere questa piaga"

NATO A Montreuil, Francia ETÀ: 44 anni  SQUADRA: Ex centrocampista di Roma, Inter e Nazionale francese PROFESSIONE: Oggi reporter televisivo

La voce e lo sguardo si spingono laddove un tempo osavano le caviglie: nei terreni insidiosi, nelle zone più scomode, con la certezza del rischio, ma la forza trascinante di una giusta causa. In campo Olivier Dacourt non toglieva mai la gamba. Una carriera costruita sui contrasti e sulla fatica, con i segni di mille battaglie addosso, l’erba impressa sui pantaloncini. L’ardore come cifra stilistica, ma sempre nel perimetro del rispetto per l’avversario. In Italia lo ricordiamo spendersi fino all’ultima goccia per i suoi compagni, della Roma prima, dell’Inter poi. Oggi Olivier, 44 anni e gli scarpini appesi ormai da un po’, fa il reporter per Canal+. Un nuovo abito che l’ex nazionale francese riesce a vestire con grande credibilità. ‘Non sono una scimmia’ (‘Je ne suis pas un singe’), il suo documentario: un titolo che vuole colpire dritto allo stomaco, perché l’indifferenza è un pericoloso alleato dell’odio. Presentato lo scorso gennaio e trasmesso proprio dall’emittente francese, il film ha riscosso grandi consensi, contando anche su contributi importanti come quelli di Eto’o, Vieira e Balotelli. Dacourt, dove nasce questo desiderio di raccontare il dark side del calcio? «Mi sono lanciato in questa nuova avventura perché credo che negli stadi ci sia sempre il riflesso della società: le cose che succedono lì dentro riproducono il mondo fuori, la vita di tutti i giorni. Io racconto il lato oscuro del pallone con la speranza di esorcizzarlo». Sul razzismo, però, sembra di combattere una battaglia persa. «Da quando sono piccolo non è cambiato nulla sul tema della discriminazione: assistiamo sempre alle stesse scene e continuiamo da decenni a non fare nulla per mettere fine a tutto questo. Ma io non mi arrendo perché voglio che i bambini crescano dentro un altro tipo di calcio». Il suo primo ricordo legato al razzismo? «Avevo dieci anni e stavo guardando una partita del Marsiglia in televisione. A un certo punto dagli spalti cominciarono a piovere banane contro il portiere del Bordeaux, Joseph-Antoine Bell. Rimasi sconvolto da quelle immagini. Fissavo lo schermo e pensavo: perché stanno facendo questo? Mio padre mi spiegò che esistevano persone capaci di spingersi a tanto...». Era il 1989. Appena qualche settimana fa l’attaccante dell’Arsenal Aubameyang è stato vittima della stessa violenza durante la sfida con il Tottenham. A distanza di trent’anni, la storia si ripete: perché? «Se continuano a ripetersi questi orrori, forse è ora di darci delle risposte, anche dolorose da accettare». Quali? «La verità è che abbiamo sbagliato tutti quanti, la colpa è di tutti, anche nostra. Questi episodi non si verificano solo in Italia, ma avvengono dappertutto, in Francia, in Spagna, in tutta Europa: il fallimento è universale. Dobbiamo cominciare a lottare, non permettere più alla politica di entrare dentro gli stadi». Quale può essere la cura? «La tolleranza zero. I colpevoli si possono e si devono colpire. Io sono figlio di padre bianco e madre nera (senegalese, ndr) e posso testimoniare, perché l’ho vissuto sulla mia pelle, che il razzismo è da tutte la parti: dai bianchi verso i neri, ma anche dai neri verso i bianchi». È vero che conosce promettenti giocatori di colore che si sono rifiutati di venire a giocare in Italia per paura delle discriminazioni? «Sì, è vero. Alcuni giocatori hanno detto di no a trasferirsi alla Lazio. Vedendo alla televisione certe immagine dell’Italia, è normale che questi ragazzi non abbiano voglia di andarci a giocare. Il calcio deve rappresentare un piacere: come può esserlo se vieni insultato dai tifosi?” Ha avuto modo di parlare con Koulibaly dopo l’osceno trattamento ricevuto durante la sfida tra Inter e Napoli? «Ho telefonato a Kalidou: è un bravissimo ragazzo. Gli ho detto che non deve darla vinta a questa gente, che non deve rovinarsi la partita per causa loro, ma capire che queste persone lo fanno per destabilizzarlo». Ancelotti ha difeso il suo giocatore dicendo che è pronto a portare fuori la squadra qualora si ripeta una scena come quella di San Siro. «È stata bellissima la reazione dell’allenatore del Napoli e sono state bellissime le sue parole. Un gesto davvero eccezionale e per nulla scontato». Crede forse che nel mondo del calcio i protagonisti facciano poco per cambiare le cose? «Purtroppo tanti hanno paura di agire: temono di avere problemi, magari con i propri tifosi, e allora si tirano indietro. Abbiamo bisogno di più persone come Carlo: ma per fare come lui ci vuole coraggio”.