Martedì 16 Aprile 2024

Sulle tracce dei tagliagole

Andrea Margelletti

I TERRIBILI attentati di Parigi e la minaccia incombente dei foreign fighters in fase di rientro nel continente europeo hanno dato nuova linfa al dibattito sull’effettivo livello di collaborazione tra le intelligence e le forze di sicurezza continentali. Storicamente, il livello di contatti tra i servizi di intelligence europei è stato molto intenso già dalla fine del Secondo Conflitto Mondiale in quanto la formazione della Nato ha dato una sostanziale spinta alla costruzione di un quadro di sicurezza euro-atlantico che prevedesse un livello di collaborazione costante al fine di contrastare l’abilissima minaccia dello spionaggio sovietico. A seguito degli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, il livello di cooperazione transnazionale tra le intelligence è ulteriormente incrementato, ma, paradossalmente, in tanti Paesi europei il primo nemico continua a rimanere la non sufficiente collaborazione tra apparati di sicurezza e forze di polizia all’interno dei propri confini.

SE, INFATTI, si guarda al caso francese, già a seguito dell’attentato a Charlie Hebdo sono emerse lacune evidenti sia nei rapporti tra la DGSE (Direzione Generale per la Sicurezza Esterna) e la DGSI (Direzione Generale per la Sicurezza Interna) sia in quelli tra la Polizia Nazionale e la Gendarmeria. È, quindi, importante sottolineare come la costruzione di un esaustivo quadro di collaborazione tra gli apparati di intelligence occidentali poggi le sue basi soprattutto su un insieme di contributi nazionali che sia, si spera, frutto della più ampia condivisione e valutazione da parte di ognuno dei Sistemi-Paese coinvolti. A questo proposito, l’Italia, per una volta, parte avvantaggiata in quanto dispone del C.A.S.A. (Comitato Analisi Strategica Antiterrorismo). Questa struttura permanente, consente di mettere a sistema le strategie antiterrorismo e le valutazioni sul quadro di situazione grazie ai contributi del comparto intelligence (AISE) e sicurezza (AISI) coordinati dal DIS diretto dall’Ambasciatore Massolo. Al C.A.S.A. partecipano anche il ROS dei Carabinieri, i poliziotti della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione e le cellule intelligence della Polizia Penitenziaria e della Guardia di Finanza. Un altro punto di forza del nostro sistema di prevenzione è rappresentato dalla ben nota capacità (derivante da decenni di lotta alle mafie e al terrorismo interno) delle forze di sicurezza nazionali di coltivare fonti fiduciarie affidabili. Questa caratteristica, anche se indubbiamente meno “cool” rispetto all’attuale enfasi sulla cybersecurity, rappresenta uno strumento di sicurezza formidabile se la si ricollega, ad esempio, alla capillare presenza sul territorio rappresentata dalle oltre 4.500 stazioni della sola Arma dei Carabinieri. In conclusione, quindi, capillarità della presenza delle forze di sicurezza e massima condivisone delle informazioni tra le strutture, sono le due caratteristiche principali che, se standardizzate a livello europeo, ci permetteranno di contrastare efficacemente il fenomeno dei foreign fighters. A maggior ragione se è vero ciò che attesta l’ultimo rapporto Europol, secondo cui l’80% di questi combattenti ha già avuto problemi con la giustizia per altri reati.