Mercoledì 24 Aprile 2024

Ritorno alla burocrazia

Come tanti altri, decisi di trasferirmi a Londra per studiare e poi, eventualmente, trovare un lavoro. La mia storia non è quella di chi ha deciso di levare le tende dopo aver mandato centinaia di curriculum in giro per l’Italia. Mi bastava guardarmi attorno per capire che probabilmente non era il caso di restare. C’era anche un elemento personale: avendo vissuto per molti anni a Verona, in un certo senso un posto piuttosto refrattario alla modernità, la scelta cadde su Londra anche perché mi sembrava l’esatto contrario. Dopo un anno di Master in giornalismo alla City University, svariate collaborazioni per pubblicazioni inglesi e un lavoro che non c’entrava nulla con quello che avevo studiato, cominciai a lavorare per una testata finanziaria inglese come reporter. Per motivi professionali (la testata presso cui lavoro tuttora, Citywire, ha deciso di aprire una redazione a Milano), ho deciso di fare il percorso in senso contrario. Inutile dire che alla notizia del mio ritorno in Italia le reazioni di amici e conoscenti andavano dall’incredulità a un sincero patimento per l’evidente stato confusionale in cui versava la mia salute mentale, dicevano.  Finora il mio rientro in Italia è filato liscio. La differenza più lampante è l’enorme mole burocratica. Sarà un cliché, ma è così. Da quando sono a Milano, 6 mesi, ho accumulato più carte e documenti che in 5 anni a Londra. Che si tratti di un banale cambio di residenza, o dell’apertura di un conto corrente, tutto è più farraginoso. Per non parlare delle insensatezze kafkiane nell’apertura/trasferimento di una società.  Detto questo, in base alla mia esperienza, ma anche quella di molti altri italiani a Londra, mi sembra che almeno la metà dei cosiddetti cervelli in fuga che ho conosciuto a un certo punto ha rifatto le valigie. Londra è sempre stata una destinazione temporanea, ora però la Brexit ha introdotto un ulteriore elemento di precarietà. E fra gli italiani che vivono a Londra e hanno assistito a questo irrigidimento nei confronti degli stranieri, c’è qualcosa di più che un lieve risentimento. Quelli che partono ora invece, magari lo fanno con l’ansia di chi potrebbe perdere l’ultimo treno, sempre a causa di Brexit.