Domenica 5 Maggio 2024

Minoranza spiazzata, ultimo bivio. Piegarsi al congresso o lasciare il Pd

Orlando esce allo scoperto: il segretario non ha una proposta politica. Gli avversari di Renzi hanno chiesto il sostegno al governo

Roberto Speranza arriva alla direzione del Pd (ImagoE)

Roberto Speranza arriva alla direzione del Pd (ImagoE)

Roma, 14 febbraio 2017 -  La pace non c’è. Forse non era possibile che ci fosse, ma di certo qualcuno ci sperava. O almeno, si augurava un pur minimo avvicinamento tra le parti. La sfida è sui tempi: pare una questione cronologica, ma è invece sostanza politica. Renzi sembra aver rinunciato alla richiesta di elezioni anticipate a tutti i costi solo per spostare l’accento sul congresso «subito»: per la minoranza è una mossa altrettanto inaccettabile. Perché teme – non a torto – che le primarie finirebbero con l’incoronazione dell’ex premier: in fin dei conti, nel partito resta il nome più forte. Per organizzare l’alternativa, l’opposizione interna ha bisogno di più di due mesi: deve organizzare le fila e poi pensa che nel medio periodo la popolarità di Renzi potrebbe ulteriormente calare, qualche spezzone della sua maggioranza potrebbe mollarlo e, chissà, le sue riforme potrebbero perdere qualche pezzo. È Bersani a chiarire la posizione sia all’inizio che alla fine della direzione: «Non si può fare una roba cotta e mangiata, evitiamo conte». Insiste Speranza: «Se l’obiettivo è un congresso lampo per andare a un voto lampo, non c’è più il Pd che diventa il partito dell’avventura». Ed Emiliano, governatore della Puglia, chiosa: «Non si può fare un congresso senza conoscere la legge elettorale. Il partito è in mani sbagliate, non si molla così Gentiloni». Il riferimento al premier è tutt’altro che casuale: nell’ordine del giorno degli avversari di Renzi si chiariva che il partito avrebbe dovuto impegnarsi a sostenere il governo fino alla scadenza del mandato. Un modo per vincolare l’ex premier alle elezioni nel 2018: di qui la decisione dei vertici Pd di non mettere in votazione il documento. «Se passa il primo – taglia corto Fassino – esclude il senso del secondo». Piovono pietre dalla minoranza, che poneva quella data come ultimo gradino di una scaletta iniziata con una conferenza programmatica – come proposto dal ministro Orlando – che proseguiva con il congresso a ottobre. Ironizza Gotor: «Hanno approvato l’ordine del giorno Paolo#stai sereno». Rilancia Stumpo: «Noi gli chiediamo responsabilità e lui ci risponde mettendo il congresso durante le amministrative». 

image   Ma su questo punto Renzi difficilmente tornerà indietro, perché vuole una vittoria subito. Può contare sulla maggioranza in assemblea nazionale, anche a prescindere da Franceschini o Orlando. Insomma: dopo aver evitato il rischio di elezioni anticipate la minoranza si trova di fronte a un altro dilemma: accettare la sfida di un congresso perso sulla carta oppure dar vita alla scissione? Già: la mossa di Renzi amplifica il rischio di una rottura nel Pd. Lo sa bene D’Alema che ha ascoltato il dibattito senza batter ciglio «Se esce l’ex segretario Bersani, non si può dire che se ne vanno quattro gatti, ma non c’è più il Pd». sussurrano i bersaniani. Lo ammette pure Cuperlo: «Oggi il Pd è un progetto fortemente a rischio».  Potrebbe esserci una terza via: bisogna cercare una composizione collegiale con un altro segretario. Una operazione che rimetta la sinistra in gioco: il nome più quotato è quello di Orlando che – dopo aver tentato la mediazione lanciando la conferenza programmatica – non ha partecipato al voto, benché alcuni dei suoi abbiano votato pro Renzi. 

Invece: il Guardasigilli ha dato un colpo al cerchio e uno alla botte in direzione. Ha bacchettato la minoranza per la campagna di delegittimazione quotidiana del segretario, ma ha colpito anche quest’ultimo: «Fare le primarie solo per legittimare il leader è come fare le tagliatelle con la macchina da scrivere». E sui caminetti criticati da Renzi ha aggiunto: «Si fanno perché manca una proposta politica forte. Il rischio che abbiamo di fronte è che il Pd diventi l’epicentro dell’instabilità del sistema politico». Il pressing è già partito: l’idea diffusa tra gli esponenti della minoranza è che Speranza, Emiliano, Rossi possano fare un passo indietro a favore del nome che potrebbe mettere tutti d’accordo. «Anche perdendo, sarebbe un altro punto di riferimento». Comincia il conto alla rovescia. La decisione sarà presa prima dell’assemblea nazionale. Inutile presentarsi al Parco dei Principi qualora si optasse per l’uscita dal partito. Tra i registi del film che si proietterà, c’è D’Alema