Giovedì 16 Maggio 2024
LEO TURRINI
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Paralimpiadi 2016, Alex Zanardi: "Non smetto mai di sognare"

Esattamente 15 anni dopo l'incidente che gli fece perdere le gambe, lo stesso giorno, Zanardi si giocherà la medaglia nell'handbike

Alex Zanardi

Alex Zanardi

Rio de Janeiro, 7 settembre 2016 - «Certo che sono ancora qui! Ogni volta diventa più dura, perché io invecchio e si fanno avanti avversari sempre più giovani. Ma l’idea di rinunciare alla Paralimpiade non mi è mai passata per la testa…». Sono 101 gli italiani e le italiane che si apprestano a vivere da protagonisti l’evento che oggi viene inaugurato a Rio. E non c’è dubbio che il simbolo, il leader naturale, l’ideale punto di riferimento faccia di nome Alex e di cognome Zanardi. L’enorme, meritatissima popolarità non ha intaccato la sua identità pulita. Lo conosco da quando era un giovane pilota di Formula Uno. E’ passato un quarto di secolo. In mezzo c’è una storia irripetibile, che, a cinquant’anni, non è ancora finita.

Anzi, sarei tentato di aggiungere che non finirà mai. Ma, nell’immediato, ci sono i due ori e l’argento di Londra, tra prove individuali e staffetta, da difendere.

LA COINCIDENZA. «Nemmeno lo sapevo, perché è una data che ho rimosso. Eppure, è vero: il 15 settembre, quando disputerò la gara in linea dell’hand-bike, saranno passati quindici anni esatti dal terribile incidente su quell’ovale in Germania. Era il 2001 e mi ritrovai senza le gambe ma la felicità di essere ancora vivo mi diede la spinta per continuare ad immaginare qualcosa di bello. E se guardo ai risultati che ho ottenuto, non mi sono sbagliato a credere in un motto americano, The best has yet co come, il meglio deve ancora venire…».

IL RIVALE. «Noi atleti paralimpici siamo i cuginetti di quelli che vengono definiti normodotati. Abbiamo gli stessi stimoli, le stesse ansie, le stesse voglie, gli stessi desideri. Io mi presento a Rio per difendere i titoli di Londra e sono perfettamente consapevole che non sarà una impresa semplice. Ci sono gli avversari, che hanno un obiettivo identico. Per dire, questa volta dovrò vedermela con un olandese, si chiama Jetze Plat, potrebbe essere mio figlio all’anagrafe ma non per i muscoli, infatti lui è una montagna umana! Bene, appartiene allo spirito olimpico accettare il confronto, in nome della lealtà. Jetze a vederlo ti spaventa, io cercherò di inventarmi qualcosa per incrinare la sua autostima…».

L’ALTRA RIO. «I Giochi di agosto li ho guardati come tutti, alla televisione, da appassionato. Ti ho già raccontato la mia emozione per Paltrinieri, il ragazzo di Carpi. Mi sono svegliato di notte per guardare la sua finale dei 1500 stile libero, mi colpisce la naturalezza con la quale riesce a nuotare e anche la facilità con la quale ha governato la tensione di un pronostico obbligato, dicevano tutti che era costretto a vincere, non è mai semplice quando fai sport, perché poi nel momento della competizione sei solo davanti alla tua responsabilità. E’ capitato anche a me, nelle diverse vite da agonista che ho consumato. E forse non avevo la naturalezza di Greg, la sua spontaneità, la sua naturalezza. Paltrinieri è un grande, è un campione trasparente, un modello».

IL BRASILE. «Ho letto anche io che a Rio ci sono preoccupazioni per l’organizzazione della Paralimpiade, forse sono finiti i soldi, cose così. Beh, fosse vero sarebbe tristissimo, sarebbe un messaggio davvero brutto non tanto per noi atleti ma per l’idea di mondo che tutti dovremmo avere in mente. Io dico che lo sport aiuta il disabile ad essere un cittadino migliore e il disabile che fa sport aiuta chi disabile non è ad aprire la mente, è uno stimolo ad impegnarsi per una società più giusta. Se i brasiliani non rispettassero l’esempio di Londra 2012, quando non ci fu alcuna differenza di trattamento tra atleti della Olimpiade e atleti della Paralimpiade, ecco, sarebbe come un tradimento».

E come si fa a non essere d’accordo?