Mercoledì 1 Maggio 2024

Lo spazio, la Guerra fredda e la paura di volare: il nuovo fumetto di Toni Bruno

Dopo "Da quassù la terra è bellissima", Toni Bruno realizza "Senza frontiere né confini", spin off digitale (è sulla piattaforma Verticomics) del primo graphic novel, vincitore a Lucca Comics del Premio Gran Guinigi. A pochi giorni dall'anniversario della morte del cosmonauta Jurij Gagarin, la corsa allo spazio durante gli anni '60 torna alla ribalta.

Akim Smirnov, protagonista di "Senza frontiere né confini"

Akim Smirnov, protagonista di "Senza frontiere né confini"

"Lo spazio è infinito. Anche quello dentro di noi. Per superare i problemi, a volte ci vuole una visione più oggettiva, bisogna guardarsi dall’alto come, appunto, un cosmonauta in orbita che osserva la terra”. Parola di Toni Bruno, autore di “Da quassù la terra è bellissima” (edizioni Bao Publishing) e del nuovissimo spin off (solo digitale, sulla piattaforma Verticomics) “Senza frontiere né confini”, nei quali ha affrontato il tema della corsa allo spazio in piena Guerra fredda (siamo nei primi anni ’60) raccontando il rapporto tra il cosmonauta russo Akim Smirnov e lo psicologo americano Frank Jones, oltre a una serie di personaggi di contorno la cui storia è stata approfondita nel seguito del primo libro (vincitore, all’ultima Lucca Comics, del premio Gran Guinigi). Lo intervistiamo a pochi giorni dall’anniversario della morte di Jurij Gagarin, l’aviatore e cosmonauta sovietico, a cui Smirnov è ispirato, scomparso il 27 marzo di 49 anni fa.

Bruno, lei ha realizzato complessivamente più di 250 pagine sulla corsa allo spazio, ambientando in orbita solo un pugno di tavole. Di cosa parlano realmente questi suoi lavori?

“Sono partito dalla Guerra fredda, un clima di conflitto tra due fazioni che, ai tempi, creava un bel po’ di disagio psicologico: quella è la lente attraverso cui ho analizzato la sindrome da stress post traumatico, l’ansia e le problematiche legate ad essa. Noi pensiamo che gli eroi - coloro che sono visti come tali, è il caso di Smirnov - non possano avere debolezze, invece le hanno, eccome. La storia segue il rapporto tra il cosmonauta e lo psicologo americano, un legame empatico, anche di amicizia. E' vero, lo spazio, per rispondere alla sua domanda, si vede pochissimo: ho usato la metafora della terra vista dall’alto perché è così ampio e complesso ciò che abbiamo dentro che, per superare certi ostacoli, ci vuole una visione più oggettiva”.

Quella che racconta è una storia vera?

“Avevo letto un’autobiografia di Jurij Gagarin: mi aveva sorpreso perché lo pensavo come un uomo tutto d’un pezzo, invece dimostrava una profondità e sensibilità notevolissime. Il modo in cui racconta la sua esperienza, tutta la preparazione prima di andare nello spazio, mi ha molto colpito e mi ha ispirato parecchio. Quindi: Akim Smirnov è inventato, ma ho sfruttato a mio favore molti degli aneddoti raccontati da Gagarin, con dinamiche che potessero dare vita alla storia. Ho inserito molti personaggi sono realmente esistiti, come Sergej Korolev, il signor K, ingegnere sovietico responsabile delle missioni spaziali, che fu un padre per Gagarin. E si firmava realmente con la lettera K, tanto che la sua identità rimase segreta fino alla morte. Lo psicologo Frank Jones, poi, è un ricercatore che ha come professore Jerome Bruner, pioniere della psicologia cognitiva realmente esistito e che, tra l’altro, morì a pochi giorni dall’uscita di “Da quassù la terra è bellissima”, nel giugno scorso. Fu lui a tradurre i testi di uno psicologo russo, Lev Vygotskij, rivoluzionando la forma mentis americana. Ho preso tutti questi riferimenti, e poi ho romanzato”.

E il nuovo spin off come si inserisce nella storia?

“"Senza frontiere né confini" si svolge un anno prima di “Da quassù la terra è bellissima”, e affronta il rapporto tra Smirnov e ‘Peperone’, il collega cosmonauta che, per un incidente, viene di fatto scartato dalla missione. In pratica, il primo libro è il racconto di un’amicizia, tra Smirnov e lo psicologo, il secondo di una rottura. Inoltre, ho approfondito alcune scene e dialoghi che volevo inserire da subito ma avrebbero rallentato la narrazione”.

Balza all’occhio l’assoluta cura nella ricostruzione dell’epoca. Come si è documentato?

“Innanzitutto vedendo molti film, fotografie e documentari dell’epoca, oltre a libri e alla ricerca sul web. Sono abbastanza preciso, per cui ho perso tempo per capire, ad esempio, di che colore fossero tutte le divise - blu oltremare per l’aviazione, verde per l’Armata rossa -, non era semplice, visto che le immagini erano quasi tutte in bianco e nero. Per la Città delle stelle (la base segreta dei sovietici, ndr), c’era poco materiale, diciamo che ho copiato la flora e la fauna dell’ambiente e poi l’ho imbastito nel modo più realistico possibile”.

Per "Senza frontiere né confini" ha scelto il supporto digitale. Crede che sia una buona opportunità per allargare la diffusione del fumetto, oppure pensa che i lettori siano affezionati alla carta?

“Trovo che il digitale sia un ottimo supporto. Sono uno a cui piace avere il libro fisico in libreria, non glielo nascondo, però apprezzo tanto poter portare con me più roba possibile, senza avere l’aggravante del peso. Sul mio Ipad, ad esempio, mi porto sempre una serie di titoli dei grandi maestri del passato. Però sono due formati molto diversi, e ho pensato i due lavori in modo diverso. “Senza frontiere né confini” è stato fatto proprio pensando al digitale, per la piattaforma Verticomics: la lettura va dall’alto verso il basso, le vignette sono più piccole e più numerose”.

Nei suoi lavori precedenti ha affrontato, tra l’altro, la vicenda di Stefano Cucchi e la biografia di Kurt Cobain (“Quando ero un alieno”). C’è un filo rosso che lega tutte queste opere?

“La storia di Stefano Cucchi l’ho realizzata perché in quel periodo volevo dare la maggior visibilità possibile a quella vicenda. All’epoca abitavo a pochi isolati da dove si svolse il fatto, mi sono sentito coinvolto. Mettemmo online il pdf completo proprio, perché volevamo che quella storia fosse conosciuta da più gente possibile. Cobain, invece, mi fu proposto: io dapprima storsi il naso, immaginavo la solita biografia che finisce col suicidio del cantante. Invece lo sceneggiatore, Danilo Deninotti, mi stupì: raccontava dell’infanzia di Kurt, e la narrazione si chiudeva con il gruppo che sta per diventare famoso. Era molto originale, lo sceneggiatore ha fatto una ricerca ottima. Un filo rosso? Nei miei lavori, ho frequentato i centri sociali, con Zerocalcare e Calia, c’è sempre quell’imprinting socio-politico, ma seguo ciò che mi piace fare in quel momento”.

Infine, domanda di rito: quali sono i tuoi modelli?

“Per il disegno, maestri come Bernet e Toth; come autori completi, Micheluzzi, Pratt e Cyril Pedrosa, il modo in cui racconta è eccezionale”.   

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro