Giovedì 16 Maggio 2024
ANDREA SPINELLI
Magazine

Rolling Stones, è sympathy for the blues. Dodici cover per tornare alle origini

Ecco l'album di Jagger e compagni: il primo in studio dopo 11 anni

BLue & Lonesome

BLue & Lonesome

Milano, 25 novembre 2016 - «Quando sali in carrozza con un tale che tiene sottobraccio ‘Rockin’ at the hops’ di Chuck Berry per la Chess Records, e ‘The best of Muddy Waters’, ti intendi con lui per forza». Il seme di una raccolta di cover blues come “Blue & lonesome”, nuovo (sospirato) album dei Rolling Stones sul mercato dal 2 dicembre, sta forse a pagina 83 di “Life”, l’autobiografia in cui Keith Richard racconta la sua vita da pirata del rock. Anche perché il tale in questione è Mick Jagger e il luogo la stazione di Dartford, così come la ricorda il chitarrista in una lettera del ‘62 alla zia Patty rievocando il primo incontro con quello che sarebbe diventato il suo Glimmer Twin.

ECCO PERCHÉ questo ritorno alle origini rappresenta un po’ la chiusura del cerchio per una band nata col blues e poi rimasta in quel solco per più di mezzo secolo. Registrato in soli tre giorni lo scorso dicembre nei British Grove Studios di Mark Knopfler a Chiswick, non lontano da Richmond e da Eel Pie Island dove da ragazzini Keith & Mick iniziarono a farsi le ossa suonando nei pub e nei club, “Blue & lonesome” regala ad entrambi l’opportunità di tornare sul mercato con un nuovo album in studio - il primo dai tempi di “A bigger bang” del 2005 - e legittimare così, con il minimo sforzo, quelle tournée che rimangono il loro vero core-business (sentimentale prima ancora che commerciale).

«DOPO TUTTO questo tempo, quello del blues è un linguaggio che abbiamo metabolizzato» ammette Jagger presentando il lavoro, che prova ad evitare i titoli più prevedibili della musica neroamericana per puntare su cose come “Just your fool”, “Ride ‘em on down” o “Just like I treat you”. «Per me è un po’ come cantare in italiano. Se l’avessi fatto per cinquant’anni, che senso avrebbe chiedermi ‘cosa provi a cantare in italiano?’. Non provo nulla, perché l’ho sempre fatto». Impegnati lo scorso dicembre nella preparazione del megatour sudamericano raccontato proprio in questi mesi da ben due docu-film, “¡Olé, Olé, Olé! A trip across Latin America” e il cubano “Havana moon” (uscito pure in dvd), gli Stones in studio hanno lasciato mano libera al coproduttore Don Was; il risultato sono dodici canzoni che fanno parte da sempre del patrimonio genetico della band registrate originariamente, per lo più nella seconda metà degli anni 1950, da titani come Howlin’ Wolf, Little Walter, Otis Rush e Jimmy Reed. In un paio, “Everybody knows about my good thing” della coppia Miles Grayson-Lermon Horton e “I can’t quit you baby” del sempiterno Willie Dixon, spunta pure la chitarra di Eric Clapton.

«LA COSA singolare è che un disco del genere non l’avevamo preventivato – assicura Jagger –. Poi, tra una registrazione e l’altra del nostro nuovo album d’inediti, abbiamo iniziato a suonare queste canzoni, spuntate in maniera così fluente e naturale dal non costarci più di due-tre incisioni ciascuna». Annunciato ufficialmente dagli Stones a Coachella durante il megaraduno Desert Trip, la woodstock californiana di vecchie leggende rock, “Blue & lonesome” conta sull’apporto dei musicisti che acompagnano abitualmente la band in tournée, vale a dire Darryl Jones al basso, Chuck Leavell e Matt Clifford alle tastiere.

«NON VA dimenticato, che fummo proprio noi, nel ’64, a portare ‘Little Red Rooster’ di Howlin’ Wolf al primo posto in classifica – ricorda Richards –. Un anno fa ho chiamato Ronnie (Wood - ndr) dicendogli: ‘ascolta questa canzone di Little Walter, ‘Blue & Lonesome’. Quando lavoriamo in studio e l’aria si fa un po’ stagnante, infatti, siamo soliti ravvivarla con qualche classico che conosciamo bene. Così, durante le session per la messa a punto del nuovo materiale, ci siamo messi a suonare quel brano, che è venuto molto bene. Preso dall’entusiasmo, Mick ha chiesto di fare pure qualcosa di Howlin’ Wolf e non ci siamo più fermati; ogni canzone se ne tirava dietro un’altra».

«Io vengo dal jazz e fino all’ingresso nei Blues Incorporated di Alexis Korner non avevo mai frequentato il blues, ma poi è stata proprio la musica di Muddy Waters e Jimmy Reed a mettermi sulla stessa lunghezza d’onda degli Stones – ricorda il batterista Charlie Watts –. Tanto il rock’n’roll che il jazz derivano dal blues. La somiglianza fra I generi è enorme. Chuck Berry è un grande artista blues così come lo è Louis Armstrong. E se si suona il jazz, si suona il blues».

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