Giovedì 16 Maggio 2024

La frusta e la paura

ANDREA CANGINI

IL SECONDO mandato di Giorgio Napolitano si conclude così come era cominciato: a colpi di frusta. Dopo aver scudisciato i partiti in Aula all’indomani della propria rielezione, a circa un mese dalla sua probabile uscita di scena il Capo dello Stato torna ad impugnare la verga e ancora una volta si percepiscono sulla schiena dei partiti, e non solo su quella del movimento di Grillo, tracce vistose del risentimento presidenziale. Cambiano i toni, non cambia lo spirito: è in nome della politica che Giorgio Napolitano scudiscia i politici. E nel suo incedere contro le «cieche contrapposizioni» e contro «la patologia eversiva dell’antipolitica» si coglie l’apprensione di un uomo di Stato per il destino dell’Italia. In tempi normali, le parole del Presidente sarebbero state legittimamente giudicate esorbitanti. I partiti sono «parti» per definizione e da che mondo è mondo cavalcano i sentimenti popolari con demagogia e lisciando il pelo alla Bestia dell’antipolitica. Ma l’Italia non sta attraversando una congiuntura ordinaria. Siamo nel pieno di una crisi economica globale che si accavalla a una duplice crisi di sistema, sistema politico nazionale e sistema europeo. 

DALLA capacità dei partiti e più in generale delle classi dirigenti italiane di fare corpo nell’interesse della nazione dipende ora più che mai il futuro del Paese. Futuro gramo, se le cose non cambiano. Nasce da questa constatazione il discorso pronunciato ieri da Giorgio Napolitano all’Accademia dei Lincei. Un discorso politico e morale; un discorso che merita d’essere letto integralmente perché non è circoscritto al contingente ma abbraccia l’intero Novecento. E’ un estremo appello al recupero dei valori fondanti la repubblica, una dura critica alle facili rendite di posizione. E anche un monito alla «sinistra», che troppo tardi ha aderito alla logica liberale e che oggi appare ancora contagiata dal «virus» dell’«alternativa di sistema». Non manca, tra le righe, una verità fondamentale. Ovvero, la spiegazione dell’antieuropeismo dilagante con «la miopia» delle tecnostrutture europee e con «i calcoli opportunistici» della Germania, pur non citata esplicitamente. Il fatto che, a più di un anno e mezzo dalla propria rielezione, Giorgio Napolitano abbia sentito il dovere di ribadire i medesimi concetti dà la misura di quanto poco sia cambiato il clima politico nel Palazzo e nel Paese. «Fare pulizia nel mondo della politica e riformare regole e istituzioni indubbiamente logorate» sono oggi come ieri gli obiettivi sovrani. Ma tra ieri e oggi non v’è differenza. E per quanto il discorso di Napolitano alluda all’ottimismo e alla possibilità di una resipiscenza della politica, viene da credere che chiunque prenderà a breve il suo posto dovrà fare discorsi analoghi. Speriamo almeno ne abbia la statura.