Giovedì 16 Maggio 2024

Jobs Act, Renzi pronto alla fiduciaLandini: «Non difendi i lavoratori»

Elena G. Polidori ROMA È GUERRA, ormai. Dichiarata a distanza, certo, ma con i toni sempre più aspri. Matteo Renzi, dalle pagine del prossimo libro di Bruno Vespa, snobba sia il sindacato che la sinistra Pd annunciando che «la delega sul lavoro alla Camera non cambierà rispetto al Senato». Ovvero, sarà ancora fiducia. «Alcuni dei nostri non la voteranno? Se lo fanno per ragioni identitarie, facciano pure. Se mettono in pericolo la stabilità del governo o lo fanno cadere, le cose naturalmente cambiano». Come a dire: si prenderanno la responsabilità di concludere drasticamente questa legislatura e «vadano pure con la sinistra radicale, è un progetto identitario fine a se stesso e certo non destinato a cambiare l'Italia; lo rispetto, ma non mi toglie il sonno». Parole che vengono diffuse nella mattinata di ieri e che il leader della Fiom, Maurizio Landini, raccoglie come un guanto di sfida (ma non solo lui). A Lucia Annuziata che lo intervista, risponde rilanciando. Con lo sciopero generale. Che sarà «al centro-nord il 14 novembre e al centro-sud il 21 dello stesso mese». «Questo Paese intima deve liberarsi di Matteo Renzi; il governo e il Pd non rappresentano gli interessi dei lavoratori». Toni così forti non si sentivano da tempo, ma ormai è sfida oltre il Jobs Act e la legge di Stabilità, anche se Landini nega di voler aggregare intorno a sé un nuovo partito di sinistra. «Voglio continuare a fare il sindacalista ha spiegato voglio però che sia chiaro che a me di fare la minoranza non me ne frega proprio nulla, voglio rappresentare le persone». E per cambiare un Paese «lo devi governare, non devi stare all'opposizione». SUL JOBS ACT, però, il leader della Fiom dice: «L'unico modo per far cambiare l'idea al governo è di convincerlo che noi abbiamo la maggioranza dei consensi. Bisogna convincere Renzi che contro il lavoro non va da nessuna parte». «Quando un Paese ha bisogno di leader ha proseguito allora è un Paese malato, gli interessi delle persone che per vivere devono lavorare e che in questo Paese sono ancora la maggioranza, non sono oggi l'interesse generale di questo Paese e non sono dentro alle politiche del governo». Ma le parole di Renzi sulla possibile fiducia anche alla Camera del Jobs Act hanno scosso nel profondo soprattutto i dem. La sinistra del partito, quella che si augurava di recepire, proprio nel passaggio a Montecitorio, quanto espresso dalla direzione Pd, ieri ha alzato gli scudi, incredula del fatto che una fiducia così delicata si possa annunciare «via libro di Vespa». «Mi auguro che siano parole datate ha detto l'ex ministro Damiano non può andare così». PREOCCUPATO anche Fassina («la fiducia è un segnale di debolezza») e D'Attorre («così com'è, è impresentabile»). Caustico Civati: «Renzi taglia fuori tutti, così è scontro». Colpiscono, però, le parole di Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio della Camera, autore di tagli sostanziosi alla legge di Stabilità che hanno provocato l'ira di Renzi. E che ieri se n'è uscito così: «Se non c'è una sintesi dentro il Pd, io la fiducia al Jobs Act non la voto». Un segnale d'allarme oltre la sinistra del partito. Un segnale pesante per Renzi.